De Felix Italia
Nessuno storico più di Renzo De Felice ha segnato gli sviluppi della cultura italiana negli ultimi quarant’anni. E’ un paradosso: la sua elaborazione non è in nulla paragonabile a quanto prodotto da Ernst Nolte e Karl Bracher, gli altri due studiosi che in campo europeo si sono distinti per la reinterpretazione dei totalitarismi. Gli eredi più importanti, Emilio Gentile e Giovanni Sabbatucci, hanno assunto indirizzi autonomi da quelli del maestro, ampliando e affinando le rispettive prospettive di studi. Per non parlare poi della storiografia italiana sul fascismo, ancora dominata dagli oppositori dello storico reatino: le opere di Del Boca e D’Orsi, Collotti e Tranfaglia, De Luna e Labanca stanno lì a dimostrarlo. Un bilancio della cultura italiana che si limiti al dato accademico sarebbe riduttivo. La storiografia specialistica è sempre più distante dal sentire comune, non meno di quanto lo è diventata la Costituzione Repubblicana. La memoria storica degli italiani è ormai istruita da testi divulgativi di Storia romanzata, senza alcuna pretesa di rigore disciplinare. Sono volumi di scrittori e giornalisti, che fanno il paio con fiction, programmi divulgativi e interventi di personalità politiche, animanti le Terze pagine dei quotidiani. E’ proprio in questa zona grigia, tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’, che si celebra il trionfo di De Felice. La sua attenuazione degli aspetti oppressivi e della carica razzista del fascismo, così come dei connotati imperialistici e del carattere di cesura periodizzante del regime nella Storia d’Italia, ha elevato a canone di scientificità un atteggiamento morale che è tipico del costume nazionale.
Minimizzare e attenuare, nell’attesa che il tempo, la distrazione e lo scarso senso civile di un popolo facciano il resto. Oggi il fascismo è come la mafia: non più un dato fondamentale e peculiare, e nemmeno un accidente della nostra storia. E’ ormai un fatto indistinguibile nella vicenda nazionale, e dunque inesistente.
Enrico Sciuto