Pubblicato il: 9 Febbraio, 2010

E sono creta che muta

Tratto da una poesia di Giovanni Pennisi, “E sono creta che muta” è il verso che dà il titolo al romanzo d’esordio di Mavie Parisi, pubblicato dall’editore Giulio Perrone di Roma nel Novembre del 2009 e presentato a Catania il 18 Dicembre a Palazzo Beneventano. Nata ad Enna ma catanese d’adozione, insegnante e scrittrice, Mavie dà vita alla storia della sua “eroe donna”, Kita Narea, quasi che fosse argilla, plasmandola e levigandola con dolcezza, in modo da farne un’opera di notevole qualità letteraria. Kita stessa è creta, che cambia e si irrigidisce, si abbandona, ritorna ad ergersi fiera e ad affrontare la vita. Madre di tre figli, da quando ha divorziato dall’amatissimo marito Stefano, la sua esistenza ha intrapreso una parabola discendente che alla fine la porterà verso un cambiamento che nemmeno lei credeva possibile. Tantissimi i temi affrontati nel libro: dall’abbandono all’alcolismo “domestico” (ma non per questo meno devastante), dalle relazioni nate in chat al senso di dovere che si impossessa della madre abbandonata, così forte agli occhi di amici e parenti ma interiormente capace di frantumarsi in mille pezzi, come un fragile vaso di creta.

Da cosa è scaturito il bisogno di scrivere questo primo romanzo?

– Scrivo da molto tempo, ho scritto tantissimi racconti e molti sono stati pubblicati in varie antologie, ma avevo sempre avuto nel cassetto il sogno di qualcosa di più ampio respiro come il romanzo. La cosa che mi ha sempre affascinato di più dello scrivere è la voglia di emozionare, ed emozionare a 360 gradi. Il racconto è qualcosa di troppo breve per contenere tutte le emozioni. Romanzo o racconto che sia, la scrittura è per me ragione di vita e quelli in cui scrivo sono gli unici momenti di reale, profonda serenità.

Perché definisce la protagonista del romanzo, Kita, un “eroe donna”?

– La mia Kita è un eroe donna e non un’eroina perché non è lacrimevole, non suscita compassione. E’ forte e determinata, nonostante si trovi in un momento così delicato della sua vita.

Se Flaubert a proposito di Madame Bovary disse “M.me Bovary c’est moi” lei se la sentirebbe di dire “Kita c’est moi”? E perché?

– Non posso dire di essere io, o forse lo sono in parte, forse è quello a cui tendo. Kita è una donna che dentro il dolore trova la sua dimensione e riesce a collocare i rapporti con l’altro sesso nella giusta posizione non centrale, non esaustiva.

Hanno definito la sua opera un racconto “di solitudine e guarigione”. C’è dell’altro?

– Un romanzo di guarigione dalla solitudine, ma anche direi un romanzo di consapevolezza, crescita e autocoscienza. Un romanzo in cui si dà voce non solo alla protagonista ma anche al mondo che le sta intorno. In cui abbandonante e abbandonato godono del beneficio del dubbio, in cui la verità non sta mai da una sola parte, in cui la vita assume tutte le sfumature possibili.

In quali città prossimamente presenterà il suo libro?

– Il 5 Febbraio sono stata a Roma presso “Il Simposio”, invece il 12 Febbraio sarò a Palermo, il 20 a Siracusa, l’1 Marzo a Messina e il 27 Marzo a Enna.

Giuseppina Cuccia

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