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Espropri per il Ponte sullo Stretto. Anche Scilla e Cariddi rischiano lo sfratto

E’ già trascorso più di un mese dall’avvio delle procedure di esproprio di terreni e abitazioni intorno alle aree sulle quali dovrebbero sorgere piloni e raccordi autostradali del Ponte sullo Stretto di Messina e in questo continuo rincorrersi e contraddirsi di notizie e chiacchiere (il ponte si farà, non si farà e con quali soldi), quel che è certo è che l’Unione Europea non stanzierà alcun fondo per la costruzione.

Mentre alcune forze politiche – alla luce dell’incertezza che ancora regna sovrana circa costi, modi e tempi della costruzione – chiedono la sospensione degli espropri, viene da chiedersi con un pizzico di ironia se chi di dovere abbia intenzione – e coraggio! – di confiscare anche le tane sotto il mare di Scilla e Cariddi.

E’ il loro territorio dall’inizio dei tempi, quel ritaglio di mare azzurro tra la Sicilia e la Calabria, e i due mostri marini di origine leggendaria come tale lo rivendicano da sempre, senza alcun rimorso per le vite che si sono prese nel tempo. Si dice infatti che ingurgitino ogni cosa solchi le loro onde, navi comprese, 3 volte al giorno, come fossero pasti umani: colazione, pranzo e cena. Perfino Ulisse, racconta Omero, dovette affrontare la loro minaccia ma, da buon eroe dotato di multiforme ingegno, riuscì anche stavolta a farla franca.

Ma cosa si nasconde dietro la leggendaria voracità dei due mostri che sorvegliano l’antica via di passaggio dal Mar Tirreno allo Ionio?

Come tutti i luoghi in cui due mari si incontrano e rimescolano, anche lo stretto di Messina è un luogo di difficile navigazione: correnti avverse finiscono per scontrarsi e creare gorghi d’acqua capaci di inghiottire qualsiasi cosa. Persino i venti possono creare problemi, soffiando violenti e spesso in direzioni ostinatamente contrarie.

Non è un caso che il nome Cariddi voglia dire proprio “Colei che risucchia”: il mostro di origine omerica ingoiava infatti enormi quantità d’acqua, risputandole fuori a tempo debito, ma trattenendo tutto ciò che con esse finiva nel gorgo mortale. Si dice che ella dimorasse in una grotta nelle profondità del mare appena davanti alla Spiaggia del Faro di Messina, esattamente di fronte allo scoglio di Scilla, “ad un solo trar d’arco” di distanza, per dirla con Omero.

Giovane donna vittima della capacità dell’amore di generare mostri, Scilla fu trasformata in una creatura mostruosa dalla gelosia d’amore della maga Circe. Ella possedeva 6 teste di cani ringhianti dalla vita in giù, conservando il corpo di giovane ninfa solo nella parte superiore. Il suo nome non poteva che voler dire “Colei che dilania” e il latrato delle sue teste canine ricordava ai naviganti il fragore delle onde che si infrangono sulle rocce cave della costa, all’altezza di Punto Pizzo.

Antico, spaventoso presidio dello stretto di Messina, le due creature mitiche sono uno dei tanti esempi possibili di mostri posizionati dalla leggenda in luoghi strategici di ardua navigazione. In essi prende forma l’atavico terrore che l’uomo ha da sempre del mare, soprattutto laddove la terra lo costringe ad insinuarsi in un angusto passaggio, con tutta la furia che questa imposizione porta con sé.

Una lingua d’asfalto sopraelevato che taglia lo stretto diminuirebbe forse il traffico marittimo di passaggio e magari placherebbe anche la voracità delle due mostruose creature, riducendole alla fame senza più navi e uomini di cui nutrirsi.

Chissà che questo indiscutibile beneficio di natura mitica non sia stato annoverato tra i vantaggi del Ponte sullo Stretto di Messina o chissà che il terrore della vendetta di Scilla a Cariddi non faccia desistere dalla sua costruzione. Chi vivrà vedrà, si dice in questi casi.

Giulia Segnalini