Fiat: “Abbassate la testa perché chi si ribella fa la fine di Rosario”
Rosario Monda lavorava alla Fiat di Pomigliano d’Arco fino al 2006, anno in cui è stato travolto dall’onta del licenziamento. Sposato, padre di un bimbo di otto mesi, Rosario si trova così, da un anno e mezzo ormai, senza salario, nonostante una sentenza della magistratura abbia imposto alla ditta torinese di reintegrarlo.
Quali sono stati i motivi del suo licenziamento?
Sono stato licenziato perché coinvolto, secondo l’azienda, in una contestazione ai vertici sindacali confederali in un’assemblea di fabbrica. L’accusa è stata ritenuta infondata dalla magistratura che ha richiesto, con una sentenza, il mio reintegro.
Nonostante questa richiesta di reintegro della magistratura, lei tuttora continua a non lavorare. Come mai?
Sinceramente non me lo spiego dal punto di vista tecnico. C’è una sentenza che doveva essere eseguita immediatamente, ma la Fiat se ne è fregata. Ho denunciato l’azienda per questo motivo ai carabinieri, ma anche questa azione è stata senza conseguenze. L’avvocato che segue il procedimento ha chiesto anche il pignoramento dei beni aziendali, visto che l’azienda non solo mi tiene fuori da un anno e mezzo ingiustamente e infischiandosene della legge, ma non mi paga neanche. Tutte queste azioni non hanno cambiato di una virgola l’atteggiamento di aperta prepotenza della Fiat.
I sindacati e i sindacalisti cosa hanno fatto? Le hanno dato un minimo di assistenza e di sostegno?
Lo SLAI Cobas, a cui mi sono iscritto dopo il licenziamento, mi ha dato la copertura legale, cioè ha nominato l’avvocato che mi ha difeso; per il resto mi ha completamente abbandonato. Non ho ricevuto né aiuto né solidarietà da questo sindacato. La FIOM evidentemente mi ha individuato come un nemico per la mia iscrizione allo SLAI e mi ha trattato come “un invisibile”, secondo me sbagliando perché un sindacato che si dice dalla parte degli operai, gli operai li deve difendere sempre e comunque. Chi mi ha difeso e aiutato, oltre a compagni singoli, sono stati quelli dell’Aslo, l’associazione vicina ai compagni dell’INNSE di Milano.
Qual è secondo lei il messaggio che la Fiat vuole dare licenziando chi si permette di protestare?
Se non mi spiego la situazione in cui mi trovo dal punto di vista della legge e della sua applicazione, capisco ampiamente i veri motivi per cui la Fiat mi tiene fuori. Io sono un esempio per gli altri operai. La Fiat comunica tramite me questo messaggio: “Abbassate la testa sui diritti e sulle condizioni di lavoro perché chi si ribella fa la fine di Rosario che, pur vincendo le cause, rimane comunque fuori”. I nazisti fucilavano civili per spingere i partigiani a desistere dalle loro azioni e per tenere sotto tutta la popolazione. La Fiat non mi fucila, ma mi affama, però lo scopo è lo stesso, la rappresaglia.
Come si fa ad andare avanti in una situazione così particolare come la sua?
Dal punto di vista esistenziale c’è l’affetto per mio figlio di otto mesi e per la mia compagna e la solidarietà dei compagni. Però è dura. Dal punto di vista psicologico ho subito già dei danni. Dormo poco, sono agitato, faccio uso di calmanti. Spero di resistere.
Massimiliano Mogavero