Pubblicato il: 13 Dicembre, 2008

Francis Scott Fitzgerald: un tragico sogno infranto

f_scott_fitzgeraldTe ne sei andato solo, abbandonato nell’indifferenza, stroncato da un infarto e distrutto dall’alcool. L’ultimo resoconto editoriale, datato Agosto 1940, poco prima che tu morissi, segnala soltanto sette copie vendute de Il grande Gatsby, il tuo capolavoro scritto quindici anni prima. Quand’eri in vita, caro Scott, nessuno riuscì mai a comprendere la sensibilità e l’appassionata franchezza di cui Il grande Gatsby e tutti i tuoi romanzi sono intrisi. Ci hai donato autentiche perle di letteratura e un personaggio che il mondo intero non dimenticherà mai. Jay Gatsby è colui che simboleggia una società, quella dell’America dell’Età del jazz, che esorcizza nel lusso e negli aspetti mondani della vita quell’incomunicabilità e quella carenza di valori autentici che la contraddistinguono. E una domanda senza risposta sembra accompagnare il lettore fino alle ultime pagine del libro. Chi è veramente Jay Gatsby? Forse è un contrabbandiere, un assassino, un uomo d’affari senza scrupoli che ha costruito attraverso crimini e delitti la sua immensa fortuna?  Chissà. Quel che è certo è che Jay Gatsby è un uomo solo che soffre della propria solitudine, così come sono irrimediabilmente soli tutti gli invitati alle sue lussuose feste mondane e soli sono altresì tutti i personaggi che compaiono nel romanzo. La storia di  Gatsby, in definitiva, è la storia dell’ascesa e della tragica fine di un’epoca malata di ricchezza che di lì a poco sarà spazzata via dalla Grande Crisi, trascinando con sé gli ultimi strascichi del sogno americano. Ma non è tutto. Il grande Gatsby è anche, ironia della sorte, metafora lucida e profetizzante della tua stessa vita. In nove brevi capitoli, caro Scott, sei riuscito a penetrare nell’animo e nella sensibilità più profonde di un uomo, negli spazi più tetri e nascosti di un’intera epoca. Dopo tanti  anni dalla tua tragica morte capiamo che quell’uomo eri tu, sfiancato dal peso delle contraddizioni che hanno attraversato la tua vita, ucciso dall’invidia e dal cinismo di chi ti ha sempre giudicato superficialmente, senza soffermarsi a riflettere sui contrasti interiori che hanno attraversato e dilaniato la tua esistenza.

L’America bigotta degli anni Venti ti ha respinto, questa nazione ipocrita e dissimulatrice, avara ed egoista, non ha saputo e voluto intendere il talento di un uomo che provava ad aprirle gli occhi, che cercava in ogni modo di smascherarne le ambiguità. Tentavi, con la dolcezza e la delicatezza che ti distinguevano, di mostrare le incoerenze di una società squilibrata ed ingiusta, mettendone a nudo i vizi e abbattendone le virtù apparenti, ostentate e  mal nascoste dietro quell’enorme e triste velo di perbenismo puritano. Ti sei difeso come hai potuto, mostrando sempre la gioia di vivere a chi ti stava attorno, piegandoti alle logiche del mercato per mantenere il tuo stile di vita, continuando un’attività lavorativa che disprezzavi e che non rendeva giustizia al tuo talento e alla tua sensibilità. Nell’alcool hai cercato le risposte ai tuoi interrogativi e l’alcool ti ha condotto dolcemente alla morte, come un caro vecchio amico che, dopo anni di intenso affiatamento, ti tradisce all’improvviso. Hai inseguito fino all’ultimo il tuo sogno inafferrabile, l’hai visto infrangersi ma non hai mollato. E alla fine ti è sfuggito. Ora il mondo ti ha reso giustizia. Il grande Gatsby è celebrato e annoverato tra i romanzi più importanti e influenti del Novecento. Ed è anche grazie a te che l’umanità intera, afflitta dalle proprie iniquità  e contraddizioni, continua ad inseguire i suoi sogni e a “remare, come una barca controcorrente, risospinta senza posa nel passato.”

Aldo Nicodemi

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