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“Fuori dal tunnel”: la battaglia quotidiana di San Patrignano contro la droga

“Drogati, poco raccomandabili, incoscienti, continuamente fuori di testa, irrecuperabili…”

Di stereotipi sui tossicodipendenti, si sa, ce ne sono tanti: ma sicuramente non corrispondono alla sensazione che una visita alla comunità di recupero di San Patrignano –una delle più rinomate in tutta l’Europa- lascia sulla pelle: perché dietro agli occhi del “cattivo da cui stare alla larga”, ci sono quelli più grandi di un gran numero di ragazzi che non ce l’hanno fatta, provati dal peso di una vita familiare e sociale turbolenta, a restare coi piedi per terra ed affrontare i loro problemi.

E dal 1978 (anno di fondazione) ad oggi, ce ne sono stati ben 20mila, di cui 1600 che si trovano attualmente nella comunità. Il percorso che stanno affrontando durerà all’incirca quattro anni, anche se fare una stima è forse qualcosa di azzardato, essendo molto soggettivo: il tossicodipendente decide di sua spontanea volontà, in collaborazione con gli operatori del SerT (Servizio Tossicodipendenti) della sua città di entrare nella comunità, dove per tutto il primo anno di permanenza viene costantemente seguito da un ragazzo lo guida attraverso la risalita. È il periodo più critico: molti tentano la fuga, attanagliati dal mostro dell’astinenza, ma per chi riesce a non scavalcare di nascosto il cancello dell’entrata ci sono in palio la libertà e la vita. Una vita scandita dai ritmi regolari della vita comunitaria e del lavoro: è rinomata in tutto il mondo, infatti, la cantina di San Patrignano, ma famosi sono anche i suoi pupazzi prodotti con vera pelliccia e distribuiti da firme prestigiose, gli arredi ed i prodotti per la casa. Il lavoro non è solo una forma di riscatto ed un ritorno alla normalità, ma anche uno sbocco ed un curriculum per chi esce dalla comunità. E poi, dopo un primo periodo di dolore ed astinenza, ecco che la vita riprende a scorrere: all’ex tossico verranno affidati altri tossici che ancora non hanno compiuto il suo percorso affinché egli se ne prenda cura e li aiuti ad uscire dal tunnel. E questo è l’aspetto più straordinariamente nobile: lo spirito di benevolenza e di fratellanza che questi ragazzi hanno sviluppato tra di loro e col mondo intero. Si aiutano, vivono in sincronia gli uni con gli altri, ed in men che non si dica sono pronti a guidare l’occasionale visitatore attraverso le loro storie, raccogliendo tutto il coraggio e spogliando quelle biografie di cui forse tante volte si sono vergognati, ma che ora hanno imparato ad affrontare e a controllare. Pezzi di vita che bruciano come il fuoco, storie di famiglie disgregate, di genitori assenti, di emarginazioni da combattere a colpi di coca e maria, di sogni irrealizzati, di città belle e dannate, di nonni apprensivi che il tempo ha corroso e di attimi, tutti quelli in cui, inconsapevoli, hanno detto “si” quando avrebbero dovuto dire “no”. Ed in fondo, storie di ragazzi, ragazzi che siamo o che siamo stati: storie che potrebbero essere le nostre.

 

Sara Servadei