I misteri dell’arte in Italia: le Macchine anatomiche
Può esservi affinità tra alchimia ed arte? Cosa può avere di così misterioso un bassorilievo, una scultura o un affresco? Queste sono solo due delle molteplici domande che un appassionato d’arte potrebbe porsi qualora si trovasse dinanzi ad alcuni reperti, come ad esempio quelli del diciottesimo secolo custoditi nella cappella San Severo di Napoli, ed i quali portano il nome di macchine anatomiche.
Certo, lo spettacolo visivo che le suddette mostrano potrebbe portare ad una legittima confusione, ovvero non si saprebbe quale emozione vivere, si potrebbe provare meraviglia o raccapriccio, o entrambe le cose. Di sicuro ci si rende immediatamente conto di quanto abile sia stato il suo creatore, quanta intelligenza e ricerca tecnologica vi fosse in un periodo storico nel quale non ci si sarebbe neanche sognati l’esistenza del motore a scoppio.
Il principe Raimondo Di Sangro, detto il Principe di San Severo, fu un alchimista dalle grandi abilità, uno scienziato ed appassionato dell’occulto. Elegante, raffinato ed erudito, rappresentò totalmente l’immagine del principe. Non si poté dire lo stesso delle sue passioni, le quali spesso lo portarono ad essere visto dai più come un personaggio decisamente eclettico, sinistro, oscuro ed inquietante.
Le suddette macchine anatomiche furono il risultato di un’idea che lo stesso Di Sangro partorì verso la metà del diciottesimo secolo. Infatti, il principe di San Severo volle a tutti i costi attuare la propria idea commissionando il progetto al dottore palermitano Giuseppe Salerno.
Esistono diverse storie e leggende legate alla creazione delle macchine anatomiche. Alcune di queste vedono adottare da parte del Di Sangro certe pratiche da considerare inumane, e tutto ciò con l’unico intento di instillare meraviglia negli occhi dei suoi contemporanei e dei posteri, e soprattutto mostrare la propria grandezza e abilità in campo scientifico. Si può senza dubbio affermare che il suo intento ha trovato un esito positivo.
I due corpi che tutt’oggi si trovano esposti nella cappella San Severo di Napoli detta anche “La Pietatella”, sarebbero appartenuti a due schiavi, uno dei quali di sesso femminile, in quanto quest’ultimo avrebbe presentato un feto nel proprio grembo. Tale feto qualche anno fa venne trafugato, ma vi sono delle tracce di placenta le quali si trovano ai piedi del corpo della donna a dimostrare che quest’ultima fosse incinta. Il procedimento di “metallizzazione” dei corpi avvenne attraverso delle iniezioni di mercurio, tale metallo liquido fluendo nei vasi sanguigni poté irrigidire questi ultimi così da mantenere intatto il sistema circolatorio del corpo e garantendone la conservazione lungo il corso dei secoli. La suddetta pratica non solo potrebbe essere vista come invasiva, ma soprattutto spietata ed estremamente abominevole. Per far si che il mercurio percorresse l’intero sistema circolatorio, vi sarebbe stato bisogno di un cuore perfettamente funzionante, il quale avrebbe pompato il prodotto lungo il corpo. Quindi, questo riuscirebbe a far dedurre che l’esperimento non venne applicato su corpi già deceduti, ma bensì su persone vive e coscienti dell’atrocità che da lì a poco avrebbero subito. A tutt’oggi tali affermazioni rimangono prive di dimostrazioni che ne certifichino l’autenticità, comunque alcune analisi visive da parte di medici specializzati dimostrano che vi sono delle inesattezze nella riproduzione del circuito sanguigno, il che potrebbe sfatare il mito dell’esperimento abominevole e, di contro, avvalorare l’ipotesi di un esperimento di ricostruzione artificiale (attraverso fil di ferro e cera colorata) del sistema circolatorio su scheletri, non già uomini in vita.
Leonardo Di Stefano