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I volti dell’immigrazione – Alina

Oltre duemilacinquecento chilometri separano la metropoli ucraina di Leopoli dal piccolo borgo reggino di San Ferdinando: una distanza considerevole, colmabile in circa ventisei ore di viaggio su strada. Due luoghi che per molti hanno ben poco in comune, ma che per qualcuno rappresentano attigui teatri di vita. E’ il caso di Alina, cinquantenne badante dell’est, da dieci anni in servizio sul territorio italiano. “Ho lasciato il mio paese quando i soldi sono iniziati a mancare – racconta la biondissima donna – per me ed il resto della famiglia. Mio figlio Ruslan era già stato in Italia seguendo un amico ed aveva trovato lavoro nelle campagne calabresi durante il periodo di raccolta degli agrumi”. Sulla scia del primogenito, quindi, Alina lascia la sua casa ed inizia a lavorare in Calabria nelle vesti di colf e badante per alcune famiglie del luogo. “Molte persone – prosegue l’immigrata – mi hanno offerto il loro sostegno nel corso degli anni, invitandomi a mangiare con loro o regalandomi dei vestiti, ma anche aiutandomi a trovare casa e nuovi datori di lavoro”. Parole che stridono con l’immagine razzista cui vengono abbinati molti italiani e lasciano emergere un tessuto sociale tutt’altro che preoccupante. Un soggiorno positivo, dunque, quello nel bel paese: “Mi sono sempre trovata bene con gli italiani, anche se all’inizio la nostalgia è stata tanta. Durante i primi tre anni non sono riuscita a tornare a casa neppure una volta. Col tempo poi le cose sono andate meglio e sono riuscita a guadagnare i soldi necessari per aiutare i miei figli a sposarsi. La secondogenita, Natalia, ha anche avuto un bambino e mi ha sempre tenuto aggiornata inviandomi le sue fotografie tramite posta o cellulare”. Oggi Alina trascorre buona parte dell’anno nella sua terra d’origine e si sposta in Italia durante la stagione fredda, riuscendo a trovare quel lavoro che le garantisce le giuste entrate per poter vivere con maggiore serenità a fianco dei suoi cari. Una pendolare moderna che, nonostante l’affetto per il paese che l’ha accolta, spera un giorno di potersi fermare a casa.