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I volti dell’immigrazione – Mustafà padre coraggioso

Mustafà non è un uomo sconfitto, ma pensa di essere fallito nel suo intento. E’ da undici anni in Italia, ed è tempo di bilanci per lui e la sua famiglia, composta da sua moglie, due figli maschi e Rim, la piccola di casa.

Pensava che in Italia, quelli bravi e portati per lo studio, potessero fare qualcosa, trovare un buon lavoro. Non era così in Marocco. Dopo due anni di riflessioni sul da farsi, e con il parere negativo dei genitori, Mustafà parte. Lascia un lavoro di ragioniere e una famiglia, ma compie questa difficile scelta per i suoi figli, certo che loro avrebbero avuto un futuro migliore in Italia che non nella madrepatria.  «Facevo l’ambulante (e lo fa ancora adesso, ndr). Le cose all’inizio erano difficili, soprattutto per la lontananza dalla mia famiglia e per l’italiano, lingua che non conoscevo assolutamente. Non sapevo veramente i problemi da dover affrontare una volta partito, non ero preparato a quella esperienza. Ma, sebbene le enormi difficoltà, scaduto il visto ho deciso di restare perché non potevo più comunque tornare in Marocco: ho fallito, sarei stato umiliato a tornare da fallito. Ma ho affrontato la cosa anche come una sfida personale. Ho cominciato a parlare un po’ l’italiano e ho cambiato città». Si perché Mustafà prima abitava a Scordia e in seguito si è trasferito a Militello in Val di Catania, entrambi in provincia di Catania, dove adesso vive con tutta la famiglia. «I militellesi, mi hanno adottato, mi hanno aiutato tanto e piano piano sono riuscito a ricostruirmi una vita. Ho anche pensato di riprendere il mio vecchio lavoro di ragioniere, ma l’ostacolo economico e linguistico è importante e non si può studiare e mandare soldi alla famiglia». Si perché cinque anni fa sono arrivate qui la moglie e la piccola Rim, 10 anni, mentre da poco li hanno raggiunti i due figli maschi, fonte di immensa preoccupazione per Mustafà: «mio figlio maggiore ha provato ad andare a scuola in Italia, ma ha trovato grosse difficoltà a livello linguistico. Non c’è un posto dove potersi informare, cosa dovrei fare, a chi devo chiedere per avere aiuto? Mio figlio vuole studiare, è bravo. Ma adesso ha lasciato la scuola e fa la raccolta delle arance. E’ stata una vera delusione. Speravo che col secondo andasse meglio: abbiamo girato tutta Catania in cerca di una scuola che fornisse una preparazione specifica in lingua italiana, ma niente. Avere la buona volontà non basta più. E’ andato alla fine in una scuola normale, ma i problemi con l’italiano sono ricominciati. E’ bravo in inglese, in francese, in matematica. Abbiamo cambiato la scuola, ma non è servito. Adesso è deluso e vuole tornare in Marocco. Vede tutto negativo». Mustafà pensa spesso di tornare in Marocco per non vedere soffrire i suoi due figli maschi. Il problema è invece la figlia più piccola Rim. Ormai è perfettamente inserita nella scuola, ha un sacco di amici, frequenta la piscina e da quest’anno vorrebbe iniziare il minivolley. Parla benissimo l’italiano, con quella cadenza particolare che la rende dolcissima e conosce altrettanto bene l’arabo, quella che lei definisce “la mia lingua”. «Non voglio fare soffrire mia figlia, non può tornare in Marocco. Già è capitato ai miei figli più grandi e almeno a lei vorrei risparmiare questa sofferenza» – mi confida Mustafà – «io qui mi trovo bene, non mi lamento, mi sento come se fossi nato qui. Anche se il lavoro non va benissimo ho l’affetto della gente, quando può mi aiuta, qui mi sento a casa e ciò mi aiuta a superare le difficoltà. Non mi manca il Marocco. Sembra strano perché sono arrivato qui a 42 anni, ma è così. Del Marocco mi mancano solo i miei genitori». E appena gli chiedo se ha mai subito atti di razzismo, salta dalla sedia: «No, mai! Nemmeno a Scordia. Però penso sia dovuto al fatto che qui gli extracomunitari siamo pochi, la situazione è diversa nelle grandi città. C’è la differenza anche tra Militello e altri paesini. Ma qui è quasi perfetto, l’unica cosa che manca è il lavoro, ma non lo cambierei con nessun paese». Per i suoi figli spera che essi trovino la loro strada e la loro felicità qui in Italia. E’ convinto dell’importanza dei sacrifici dei giovani, della necessità di fare esperienza: «ho cercato di aiutarli, ma adesso tocca a loro». Qualcuno si è avvicinato alla sua bancarella e Mustafà deve andare. Mi lascia con un sorriso mesto e con tanti pensieri in testa, ma con la certezza di avere conosciuto un uomo coraggioso.

Giuseppina Cuccia