Pubblicato il: 17 Novembre, 2009

Il Cappio

Il_cappioIn un paese normale, sarebbe anormale la presenza di un’associazione anti-estorsione. Peccato che l’Italia, specie il Mezzogiorno, non sia un paese normale. Venerdì 13 novembre 2009, nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche di Catania, Linda Russo, dell’Associazione Anti-Estorsione (è stata proprio lei a pronunciare la frase in apertura) e Salvatore D’Aleo, ordinario di diritto penale alla facoltà di legge di Catania, hanno presentato il libro “Il Cappio”, alla presenza degli autori Maurizio De Lucia ed Enrico Bellavia. Il primo intervento è stato proprio di quest’ultimo, che ci spiega come il racket sia importante per le associazioni mafiose non tanto per questioni economiche, quanto per stabilire una fitta rete di rapporti nel territorio. La solita storia della protezione, degli amici degli amici, e dei vari Zii Totò, insomma. Nel contrastare il fenomeno, e questo è stato sottolineato più volte da tutti, le forze dell’ordine sono rapide ed efficienti. Non esiste, in questo campo, la lentezza dei processi, e le pene sono aspre. Perché allora c’è una tale preponderanza di aziende ed esercizi commerciali colpiti da questa piaga? Ce lo spiega, con toni molto appassionati, il presidente della II sezione Penale del Tribunale di Catania Bruno di Marco: «non c’è stato mai, mai, un maxi-processo contro gli estorsori che sia partito dalle denuncie delle vittime o degli enti interessati, ma ci sono sempre volute complesse indagini, fortuiti ritrovamenti di documenti e pentimenti di collaboratori di giustizia. Spesso, inoltre, gli imprenditori colpiti da fenomeni di estorsione non ammettono nemmeno di fronte all’evidenza di aver pagato la “tassa”, sia questo per paura o addirittura per convenienza». L’avvocato Camarda, in maniera molto lucida, ha espresso come unica possibile soluzione per questi imprenditori quella di far sì che gli convenga di più affidarsi allo Stato. Del resto il mondo va avanti per interesse, e se un imprenditore vede un maggior guadagno nell’affidarsi alle famiglie mafiose, lo farà. È rimasto noto in questo campo un celebre caso del 1999: un imprenditore che aveva ricevuto un ricchissimo appalto per la bonifica di un territorio, si rivolse preventivamente, prima ancora di ricevere minacce o richieste, al clan camorrista dei Casalesi. Lui avrebbe concesso loro tangenti e subappalti, e in cambio loro lo avrebbero dovuto lasciare lavorare tranquillo.

Come spesso si dice in questi casi, è la mentalità che deve cambiare. E dunque ci piace chiudere con l’intervento del Presidente della sezione di Scordia dell’Associazione. Lavoratore onesto, mai versato un soldo a nessuno (e casualmente mai ottenuto appalti di un certo tipo), quest’estate s’è visto bruciare per la seconda volta una scavatrice. Ebbene, tanti altri imprenditori del luogo (e persino uno veneto) gli hanno fatto sapere che non avrebbe dovuto spendere una lira per ricomprarsi la scavatrice, ci avrebbero pensato loro a offrirgliela. Una piccola goccia, ma in un paese anormale non è poco.

Tomas Mascali

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