Pubblicato il: 24 Febbraio, 2009

Il caso di Ciudad Juàrez

ciudad-juarezUn film americano di denuncia Al confine tra Stati Uniti e Messico sono state uccise 500 donne: è l’incredibile caso di Ciudad Juàrez, dove tra immigrazione, droga e corruzione, dal 1993 è in atto una strage di operaie senza colpevoli. La sola confortante notizia in questa brutta storia è che da essa ne hanno tratto un film: Bordertown con J. Lopez e A. Banderas che, nel ruolo di giornalisti senza macchia, raccontano l’accaduto. “Il film svergogna il governo messicano, lo costringerà a indagare e proteggere le donne giunte a Ciudad Juàrez dalle regioni più povere del Messico, in cerca di lavoro” ha sostenuto Irene Khan, segretario generale di Amnesty International.

A quattro chilometri dal confine e dai grattacieli di El Paso, Ciudad Juàrez è un posto terribile. Dagli anni Sessanta, la città è stata invasa da maquiladoras, impianti di assemblaggio che le multinazionali Usa aprono perché la giornata di un operaio messicano costa quanto un’ora di un collega americano. Dal 1994, con l’entrata in vigore del Nafta, l’accordo di libero scambio stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico, maquiladoras, immigrazione e omicidi sono aumentati. Le donne vanno a lavorare in fabbrica e gli uomini, visti i bassi salari, cercano altre occupazioni nel narcotraffico. Il cartello di Ciudad Juàrez è il più potente. Alcuni giornalisti sostengono sia governativo; parlano di un accordo con la CIA che risale ai tempi del Vietnam.

La città è violenta e muoiono anche gli uomini: la notte è un inferno, la tossicodipendenza e l’alcolismo altissimi. Il machismo esplode contro le ragazze che entrano più facilmente in fabbrica; contro le mogli che lavorano mentre i mariti sono disoccupati; contro le donne e le bambine che sono la carne da consumare e vengono gettate nelle discariche, luogo d’elezione per ritrovare i cadaveri. Non si tratta di stupri conclusi con una tragedia ma di snuff movies, film con torture e omicidi reali, di party con potenti e politici, di traffico di organi. Robert Kesserl, detective dell’FBI, arrivò a Ciudad Juàrez alla fine degli anni Novanta, sostenendo che potesse trattarsi di due serial killer. Troppo pochi per ammazzare centinaia di donne, corrompere polizia e magistratura e far sparire avvocati e giornalisti.

Norma Andrade, madre di Lilia, una ragazza di 17 anni che, nel 2001, finì in una discarica è entrata a far parte dell’organizzazione Nuestras hijas de regreso a casa e combatte contro i poliziotti – che liquidano tutto come violenze familiari – contro le maquiladoras – che si limitano a fornire i pullman che portano le ragazze a casa, scaricandole lontano dagli slum dove abitano – contro l’omertà delle multinazionali. Norma combatte soprattutto per trovare un perché. Ha detto Irene Khan: “Non c’è una documentazione giudiziaria dei casi…non si scoprirà mai il movente se non si trovano i colpevoli. Non ha senso che il Messico firmi le convenzioni umanitarie se poi non le fa applicare”. L’unico risultato delle pressioni internazionali è rappresentato dall’istituzione di un pubblico ministero straordinario che coordina procura federale e Stato. Finora, però, i risultati sono stati esigui.

Irene Stumpo

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