Il film che ha scioccato Cannes
Un rapido sguardo su A Serbian Film, di Srdjan Spasojevic, ci porterebbe a notare solamente scene di stupro, di pedofilia, di necrofilia. È un film destinato a far parlare molto di sé, nel bene e nel male, ma se si riesce ad andare oltre la variegata sequela di orrori si scoprirà una pellicola che ha tanti pregi e che, in ultima analisi, non mostra scene disgustose per il puro gusto di farlo. Spasojevic vuole infatti magnificare, sotto la sua impietosa lente d’ingrandimento-macchina da presa, i difetti e i vizi della società serba. Vi è una scena in cui la famiglia protagonista del film è coinvolta, chi subendo chi perpetrando, in indicibili violenze: «ecco una perfetta famiglia serba», dice con feroce ironia l’alter ego del regista. A Serbian Film parla infatti di uno snuff-movie che viene realizzato ad iniziale insaputa del suo protagonista principale, un ex divo del cinema a luci rosse. E attraverso la realizzazione dello snuff-movie emerge una deformata poetica della sofferenza come forma d’arte, e delle vittime della violenza come protagonisti perfetti. In un’altra scena c’è una bambina, vestita come l’Alice disneyana, che assiste all’umiliazione fisica e mentale di una donna da parte di un uomo: non è forse la mirabolante ed efficace esagerazione del dolore che prova un figlio a vedere i genitori litigare? E la scena più cruda del film, quella che va ad infrangere anche l’ultimo tabù rimasto (coinvolge infatti una partoriente e il suo neonato), non è forse parte della visione pessimistica di un mondo in cui a nessuno, nemmeno ai più innocenti, è risparmiata la sofferenza?
Il film a Cannes ha destato scalpore e proteste, probabilmente a ragione. Eppure, sperando di non cadere totalmente in una trappola finto-intellettualistica, permane la sensazione che Spasojevic avesse davvero qualcosa da dire, e che l’abbia fatto nell’unico modo che doveva ritenere opportuno: con violenza, squallore ed efferato, irreale, realismo.
Tomas Mascali