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Il futuro che vorrei: intervista agli studenti dell’ateneo di Bologna

Le proteste degli studenti, contro la politica del governo Berlusconi e la riforma universitaria del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Stella Gelmini, si susseguono dalla fine di novembre: ci sono state manifestazioni, cortei, scontri con le forze dell’ordine e diversi atenei sono stati occupati. Tra gli altri, quello dell’antichissima Università di Bologna.

Sono stata una sera tra di loro, e ho voluto ascoltare le loro motivazioni.

Parlatemi un po’ di voi, del gruppo che ha deciso di occupare la facoltà di filosofia.

L’occupazione di Filosofia è stata realizzata da un’assemblea che il 22 novembre scorso ha deciso di dare un segnale alla normalità accademica e di unirsi alle proteste che già erano in atto in licei della città e in università di altre città. Eravamo circa 200 persone, a dormire ne rimanevano ovviamente meno, però nelle assemblee successive quei numeri non si sono mai persi. Le persone che rimanevano a dormire più spesso fanno parte di un collettivo (il C.U.A., che è presente in altre città italiane), da sempre attivo in diverse facoltà ma che proprio a Lettere ha l’aula dove si ritrova ogni settimana. Siamo tutti studenti universitari, molti sono anche lavoratori nel senso antico del termine (dato che per noi anche solo studiare è un lavoro), di facoltà diverse e uniti nel voler fare movimento per cambiare la realtà bolognese.

Quali motivi vi hanno spinto a questa scelta?

Sicuramente una legge che affetta col coltello la speranza di futuro di tutti noi di poter accedere ai saperi e di poter usufruire di una mobilità sociale reale. Ma più in generale la precarietà asfissiante che mette a repentaglio ogni programma di vita, la mancanza di reddito parallela ad un costo della vita sempre più alto, le politiche del governo Berlusconi contro le fasce deboli. Negli scorsi mesi abbiamo fatto anche iniziative contro il nucleare e l’attacco ai territori e all’ambiente. Abbiamo occupato per dare un segno di dissenso al sistema nella sua complessità.

Com’è stata la partecipazione da parte degli altri studenti?

E’ stato un movimento strano questo, diverso da quelli classici. Più che altro era un tumulto continuo, realizzavano degli obiettivi insieme a noi che eravamo completamente sciolti nelle assemblee (non abbiamo mai nominato il nome del collettivo in nessuna assemblea). I numeri ai cortei e alle azioni sono sempre stati alti.

I docenti vi hanno sostenuto?

Qui è un po’ il punto dolente, nel senso che pochi docenti si sono avvicinati alle lotte degli studenti. Come dovrebbe essere, secondo voi, l’università che più si avvicina agli studenti?

Innanzitutto non ci interessano piani di riforma esterna, perché sappiamo che è impossibile. Per noi l’università ideale è quella dove si mettono in campo incontri, seminari, mostre d’arte,s erate musicali, proiezioni; quella delle assemblee dove ci si confronta e si fa il punto. Vogliamo reddito garantito, accesso incondizionato ai saperi (più borse di studio, no ai numeri chiusi, autonomia di scelta dei programmi didattici) ma sappiamo che saranno solo le lotte dure e prolungate che potrebbero darci la possibilità di ottenere tutto ciò.

Mariangela Celiberti