Pubblicato il: 29 Dicembre, 2009

Il Ponte con i ‘Se’ e i ‘Ma’: parla Giovanni Randazzo

Giovanni Randazzo è docente di Geologia ambientale all’Università di Messina. Studia i terreni costieri ed è solito girare il mondo, per lavoro e per piacere. Lo incontriamo il 22 dicembre nella città dello Stretto. Un giorno e un luogo non casuali.

Prof. Randazzo, hanno inizio i lavori per il Ponte.
Che cosa accadrà sul versante siciliano?

Si tratta di un’opera colossale, di cui probabilmente non intendiamo ancora la portata. Parliamo di un pilone che sarà interrato a una profondità di cento metri e avrà una sezione di venti metri per venti. Lo scavo di questo materiale comporterà la modifica della pressione interna della terra. Non é che ciò porterà a una frana, ma certamente i Laghi di Ganzirri spariranno, poiché soggetti a una deviazione causata dal cambio di pressione. Il problema non è il Ponte in sé, ma le opere necessarie per realizzarlo. La produzione di calcestruzzo richiederà un desalinizzatore nei pressi della spiaggia. Un simile impianto equivarrà all’installazione di un’industria sul litorale, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare.

Che fine farà il materiale di risulta degli scavi?

Bisognerà imbarcarlo e individuare un deposito di smaltimento in mare. E’ una soluzione obbligata che, se progettata con accortezza, non costituirà un dramma per l’ambiente. Richiederà, piuttosto, la costruzione di un porto, cioè di un’infrastruttura che produrrà il blocco della circolazione dei sedimenti. Non appena cesserà il deposito dei sedimenti, la costa sarà soggetta a erosione. E’ il fenomeno di cui mi occupo e che provo abitualmente a evitare.

Non c’è il rischio che il territorio non tenga?

Il territorio, così com’è in quell’area, semplicemente scomparirà. Non è un problema geologico in senso stretto, ma di geologia ambientale, di territorialità. La questione che io individuo, da geomorfologo, è che lì scomparirà un’intera zona di grande valenza ambientale. Ora è un’area residenziale di lusso, ma nell’antichità ospitava insediamenti romani. Non è il caso di pensare al rischio frane, poiché non c’è motivo di dubitare dello scrupolo dei tecnici; e, anche qualora ci dovessero essere, non rappresenteranno un pericolo per le abitazioni, semplicemente perché là non ci sarà nessuno e non potrà più viverci nessuno.

Quanto alla struttura del Ponte, vede dei ‘pro’ e dei ‘contro’?

Se c’è una cosa che mi piacerebbe del Ponte, è che la mole dei finanziamenti ci permettesse di fare un passo in avanti, sulla strada della riduzione del divario tecnologico. A preoccuparmi è che sull’opera esiste un progetto di massima, di larga massima, ma a tutt’oggi nessun progetto esecutivo. E’ un fatto grave, siamo alla vigilia dei lavori. Io ho lavorato negli USA e nel Regno Unito: i progetti esecutivi, anche di opere molto più modeste di questa, contemplavano persino gli strumenti da utilizzare sui materiali, il diametro delle componenti e, soprattutto, i piani per la manutenzione.

Un eventuale terremoto, con epicentro in mare, avrebbe conseguenze?

La costruzione sarà ovviamente antisismica, dunque ad alto tasso di elasticità e stabilità. C’è però un aspetto negativo: la sensibilità al vento di un’infrastruttura così flessibile. In una zona ventosa come questa, le oscillazioni costringeranno il Ponte a lunghi periodi di chiusura, e probabilmente non solo per i trenta giorni previsti dai progettisti, ma per settanta o novanta giorni. A Messina s’incrociano scirocco, maestrale e mareggiate frequenti. Se si presentasse il problema anche per soli trenta giorni, l’utilità dell’opera risulterebbe limitata. In queste occasioni, come garantire collegamenti regolari e servizi all’utenza?

“L’utilità”, appunto. Che ne pensa?

Che non mi convince la strategia, dal punto di vista economico e sociale.

Premetto che, sul piano tecnico, l’opera è fattibile. Di più: se ben progettata, potrà essere un volano per il miglioramento tecnologico. Ma la costruzione del Ponte avrà anche conseguenze negative, sulle quali si continua a glissare. Dicevo del problema del vento: quando avremo il Ponte, non potremo più mantenere a Messina un’industria marittima della mole attuale. Il risultato è che, nei tanti giorni d’impossibilità d’uso, ci ritroveremo nella necessità di quelle navi che non avremo più, o che avremo in misura insufficiente.

Sul piano più strettamente economico?

Che cosa esporta la Sicilia? Fiori e primaticci. E’ roba che non viaggia in treno, ma che in tutto il mondo viaggia in aereo. C’è il problema delle comunicazioni interne, semmai: ci manca un treno veloce. Il turismo che conta non si muove in treno, ma in aereo. Nel frattempo, a Messina ci si appresta a smantellare il pilastro dell’economia cittadina, senza pensare a un’alternativa.

I fautori del progetto puntano sulla traversata più veloce, senz’altro garantita dal Ponte…

Sarebbe bastato un centesimo dei capitali oggi investiti, per potenziare il traghettamento dei treni. I servizi di collegamento sullo Stretto sono arcaici. Il monopolio dei Franza nel settore privato e l’ignavia di “Ferrovie dello Stato” in quello pubblico troncano ogni interesse a investimenti per l’ammodernamento. Traghettiamo ancora come facevano i nostri genitori, quando ormai all’estero si fa uso di rilevatori, telecamere e sensori. Un simile sistema permetterebbe di abbattere, dell’ottanta per cento, i tempi di traversata. Anche quest’inefficienza del traghettamento, tutt’altro che ineluttabile, spinge molti a pensare che il Ponte serva.

Il progetto le sembra all’altezza? E l’Italia?

Stando al progetto, il Ponte avrà una struttura pregevole e moderna. Ma ho visto anche le opere di congiungimento della struttura con l’autostrada: il disegno dei viadotti é approssimativo e imbarazzante. In Italia, non abbiamo ancora la mentalità per capire come realizzare un’opera fortemente soggetta agli eventi atmosferici. I fatti dimostrano che non sappiamo come gestire il territorio, neppure nelle circostanze più ordinarie.

Enrico Sciuto

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