Pubblicato il: 30 Gennaio, 2009

Il posto dell’anima

il-posto-dellanimaTre uomini che lottano, guardando alla vita con la lucida consapevolezza di una realtà che può essere cambiata, anche quando sembra che niente resti da salvare. Con Il posto dell’anima Riccardo Milani porta sullo schermo la storia di tre operai del Sud Italia – scegliendo una classe poco rappresentata dal cinema italiano, sempre più incline al mondo borghese – rimasti senza lavoro e senza futuro in seguito alla chiusura dello stabilimento della multinazionale americana presso cui lavorano. La loro normalità, sconvolta dall’evento, si veste di rabbia e di desiderio di giustizia. Salvatore (Michele Placido), Antonio (Silvio Orlando) e Mario (Claudio Santamaria) reagiscono ciascuno a proprio modo. Il primo, grintoso sindacalista, vede sfumare gli ideali in cui ha sempre creduto, si sente tradito da quella fabbrica per la quale “si è venduto il culo”, pur di portare avanti la famiglia. Antonio sembra non rassegnarsi a rinunciare al suo Abruzzo fatto di boschi, di orsi e di una vita sonnolenta, mentre la sua eterna fidanzata Nina (Paola Cortellesi) ha mollato la fabbrica  per volare a Milano, dove lavora in un ufficio hi-tech rinnegando il suo passato provinciale. Mario, più giovane e istintivo, forse in quella fabbrica ci si trova solo per disperazione, e quando si rende conto che niente cambierà, cerca una via di scampo nella produzione artigianale degli gnocchi di Santa Gemma, tradendo l’amicizia dei compagni. Anche su questo fronte, però, un supermercato finirà per togliere respiro ai poveri. Antonio, Mario e Salvatore si fanno incatenare ai cancelli, arriva il Tg3 con Sandro Ruotolo versione Santoro, poi il sindaco, il vescovo, il Parlamento europeo, finché i tre compagni partono alla volta degli Usa, per sentirsi dire che il loro piano di ristrutturazione andrebbe pure bene, ma la fabbrica non la riaprono, c’è la crisi in Europa, i costi sono troppo alti. La sceneggiatura – scritta dal regista insieme a Domenico Starnone – si rivela compatta, attenta agli equilibri, spalancandosi alla realtà. Dice Milani: «Oggi queste storie sono spesso definite retorica. Così si evita di parlarne. Credo invece che sia ancora necessario indignarsi. Qui ho mostrato un gruppo di persone, di operai, anche nella loro debolezza». Un modo per renderli reali e contemporanei, proprio come i neoproletari portati sullo schermo da Ken Loach. La regia si fa complice dei bravi interpreti, concedendo a ciascuno spazi e tempi giusti: Placido incarna la dignità del proletario, Santamaria il furore della disperazione, Orlando l’estrema sconfitta subita solo dopo aver lottato con le unghie e con i denti. Memorabile la scena in cui stupisce un’assemblea parlando all’improvviso un buon inglese, mentre sta solo declamando i versi di una canzone. Una storia tristemente ordinaria, giocata tra l’invettiva e il sentimento, con l’intento di scuotere le coscienze intorpidite su una realtà che ha invaso la vita di ognuno e distrutto quella di troppi, di quegli uomini che sfilano accanto al letto di Antonio, uomini che non hanno più nulla. Se non la propria anima.

Elisabetta La Micela

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