Il terremoto di Messina del 1908
Oggi compie cent’anni il terremoto di Messina. Non un tentativo di personificazione, bensì amara constatazione. Macerie di macerie, polvere che si insinua e si respira, ricoprendo e uniformandosi a corpi straziati da tutto un mondo che sputa su di loro. È il 28 dicembre 1908. Sono le ore 5,20. Il mondo si apre e si richiude su Reggio Calabria e Messina. È il terremoto, è lo tsunami. Poche anime rimangono vive tra le macerie, ed ognuna di loro racconterà al mondo, attraverso giornali e libri, quei minuti, attimi interminabili che cancellarono case, palazzi, chiese e famiglie. Ognuno di loro, con diverse parole, racconterà ciò che vide: il niente, la desolazione, le macerie. Un’anima selvaggia che per trentasette secondi non smise di cullare lo stretto calabro-messinese. Un’unica anima che ne falciò più di 75,000. I pochi superstiti uscirono da sotto le macerie e si ritrovarono in un mondo fatto di urla e terrore. Gaetano Salvemini, futuro deputato, perderà la moglie e i suoi cinque figli. Riccardo Vadalà, direttore della Gazzetta di Messina, narrerà di atroci urla di aiuto che provenivano da ogni anfratto delle macerie. Il poeta Michele Calàuti così scriverà nel libro Ricordi d’un dissepolto (1909): “Inerpicandosi su alcune botticelle, mia moglie poté raggiungere la feritoia e guardar fuori. Orrore! All’intorno non vi erano che rovine. Ella vide qualche uomo, o meglio qualche spettro; ma nessuno rispondeva ai suoi gridi, nessuno le si avvicinava… C’era anche una guardia daziaria. Mia moglie supplicava indarno: «Aiuto, morremo!». La guardia rispose: «Che cosa posso farvi? Rassegnatevi a morire» “. Ma è nei momenti più bui della storia che l’uomo cerca di ridare un senso alla sua esistenza, e così tutto il mondo corre a dare i soccorsi ai calabresi e messinesi. Giolitti inviterà il ministro della Marina Militare a comunicare a tutte le navi della zona (precisamente dalla Sardegna) di convergere su Messina. La regina Elena, principessa del Montenegro, sovrana d’Italia, si muoverà per arrivare a Messina il 30 e soccorrere, da buona crocerossina, le anime scampate al disastro. Si organizzarono comitati per i soccorsi e si allestirono le prime baracche (antenate delle baraccopoli) per fornire un rifugio temporaneo. Anche dalla Russia si ebbero ingenti aiuti. La marina russa, oltre a dare soccorso da mare, riuscì a scendere a terra ed a fornire servizio di polizia, in vista di uno sciacallaggio di cui anche il Michele Calàuti ci narrerà. Tutte le forze militari del mondo si trasformarono in forza sanitaria. Roosevelt ordinò l’invio di circa 20 navi della marina militare e che venisse stanziata la somma di 50 mila dollari per i soccorsi. Carabinieri e Finanzieri si muoveranno da tutta Italia, ed unendosi all’Esercito daranno vita ad un contingente di soccorsi composto da più di 30,000 uomini. Passano i giorni e, superata la primissima fase dei soccorsi, si pensa a come intervenire per la ricostruzione. In un primo momento si pensò di distruggere anche gli edifici non crollati, ma tale idea ebbe riscontro negativo. Si formarono così delle commissioni alle quali toccò di ricostruire il piano viario e dare un assetto urbanistico che cercasse di non cancellare ciò che rimaneva. Ma anche se gli ingegneri Borzì e De Nava cercarono di fare il tutto per tutto, molti importantissimi monumenti vennero demoliti, portandosi dietro una memoria storica centenaria. Pochi attimi cancellano secoli di vita, di architettura e cultura. La storia ci narra di terremoti che devastarono e cancellarono la vita che fu, ma mai, come per il terremoto di Messina, si avvertì l’esigenza di costruire una coscienza critica della questione sismica. Solo dopo il terremoto calabro-messinese, infatti, si svilupparono le prime forme di studio degli eventi sismici, non solo per una migliore definizione dell’evento studiato, ma anche per una efficace prevenzione di un evento “poco prevedibile”. Questa siffatta ricerca ha portato, oggi, positivi esiti per ciò che concerne il fatto storico e la ricostruzione culturale delle zone colpite dall’evento sismico, ma se ancora oggi si muore di tsunami, vuol dire che per ciò che concerne la prevenzione dovrà farsi molto di più.
Salvo Spina