Immigrazione : criminalità = razzismo : società
Texas, 1980: l’afroamericano Clarence Brandley lavora come bidello in una scuola superiore. Sta per chiudere l’edificio, quando alcune ragazze lamentano la scomparsa di una loro amica, assentatasi da molto tempo per andare in bagno. La sedicenne viene trovata morta: è questo solo l’inizio di un processo che lo vedrà imprigionato per 10 anni, tra cui un lungo periodo passato nel braccio della morte. Contro di lui non ci sono prove, i testimoni vengono costretti a testimoniare a suo sfavore, gli indizi che mostrano che lui non può essere stato vengono fatti accuratamente sparire. Clarence scampa alla morte per un pelo. Tutto era iniziato con una frase: “Beh il negro sei tu, quindi sei tu che dovrai pagare per questo”. L’unica colpa che davvero aveva commesso era l’essere nato di colore in una società xenofoba e senza scrupoli. Non a caso, la giustizia americana è colei che su uccide 1 innocente su 7, e che vanta da sempre processi sommari e condanne rivolte con frequenza agli afroamericani.
In tutti questi casi la questione è solo una, ed è assolutamente infondata: il razzismo. Sfogliando il dizionario, troviamo scritto che esso è una “convinzione preconcetta e scientificamente errata che la specie umana sia suddivisa in ‘razze’ biologicamente distinte, caratterizzate da diverse capacità intellettive, con la conseguente idea che sia possibile determinare una gerarchia di valore secondo cui una particolare ed ipotetica ‘razza’ possa essere definita superiore o inferiore ad un’altra”.
E se è vero che gli Stati Uniti sono a ben 11 ore di viaggio da noi, l’Italia certo non può dirsi salva da questa piaga che ha colpito a più riprese il mondo intero probabilmente fin dal principio della sua storia, e che è ora di estirpare, specialmente oggi che possediamo tutti gli strumenti per dimostrare scientificamente come questa malattia dell’umanità sia priva di fondamento. Le prove di ciò le abbiamo ogni giorno sotto agli occhi, concretizzate nelle numerose immigrazioni che sono avvenute in Italia dal 1990 ad oggi: da allora si è sempre presentata la tendenza a pensare che una maggiore immigrazione incrementasse il tasso della criminalità. La colpa di questo razzismo diffuso è da imputare anche ai giornali, i quali, negli ultimi 5 anni, hanno incrementato del 15% la cronaca riguardante l’immigrazione, tralasciando invece che anche gli italiani commettono crimini. Anzi, le statistiche ci mostrano che, se il tasso di stranieri è cresciuto del 500% negli ultimi vent’anni, la criminalità è rimasta la stessa, registrando addirittura un piccolo calo nelle regioni con più arrivi. Da ciò risulta immediatamente chiaro che la formula in cui molti per anni hanno creduto è del tutto errata. E, soprattutto, che la parola “diversità” è sinonimo di “differenza” e non, per forza, di “negatività, criminalità, furti”.
Sara Servadei