Interculturalità: il futuro è multicolore
Globalizzazione, interculturalità, integrazione: nessuno può negare il fatto che queste tre semplici parole costituiscono la direzione verso cui sta andando il mondo oggi. Mai prima di oggi, infatti, “tutto il mondo è paese”: i media ci permettono di ricevere in tempo reale notizie che arrivano dall’altra parte del globo o chattare con persone che vivono a centinaia di migliaia di chilometri da noi. Mai più di oggi siamo stati cittadini del mondo prima di essere cittadini italiani: utilizziamo una moneta che è la stessa di buona parte dell’Europa, possiamo gustare nel ristorante sotto casa le prelibatezze della cucina di altri paesi, festeggiamo Halloween come in America ed indossiamo vestiti ed accessori che provengono dagli stilisti di tutto il mondo o dalle usanze di altri paesi e culture (un esempio su tutti è quello della kefiah, un copricapo palestinese che è diventato un trend tra le teenager). Oggi spostarsi è sempre più facile, tant’è vero che bastano poche ore di volo per vedere tutti i luoghi che i nostri antenati sognavano nei film dei fratelli Lumiere poco più di un secolo fa.
In un mondo sempre più internazionale è ormai impossibile opporsi all’integrazione: non possiamo pensare di fermare l’onda migratoria che spinge migliaia di cittadini del mondo meno fortunati di noi sulle nostre coste, perché l’interculturalità è il nostro futuro. Oggi in Italia ci sono 1 milione di immigrati, di cui 572000 nati nel nostro paese: persone che si trovano a metà tra due culture che si ostinano a non volersi amalgamare. Noi italiani siamo improvvisamente diventati gelosi del suolo su cui viviamo, e che probabilmente non avevamo amato a sufficienza prima (e lo dimostra la classica divisione tra nord e sud). La nostra cultura, le nostre tradizioni, i nostri dialetti non sono qualcosa che si sradicherà a causa dell’arrivo di un gruppo di persone che non hanno avuto la fortuna di nascere in un luogo che garantisse loro un futuro. Basterebbe rispettarsi a vicenda per rendersene conto: celebrando la nostra cultura senza imporla si possono costruire le basi per una vita sociale in cui tradizioni differenti si fondono senza scontrarsi. Inoltre, lo stereotipo comune dipinge l’immigrato come un delinquente pronto a portarci via il nostro lavoro: in realtà i crimini degli stranieri sono più conosciuti per il semplice fatto che l’informazione ne parla con più costanza, ed i lavori di cui si accontentano sono solitamente quelli che gli italiani non vogliono più fare perché troppo faticosi. Le statistiche, infatti, parlano chiaro: in molti ambiti è proprio l’intraprendenza e l’impegno dei lavoratori stranieri ciò che dà la spinta per andare avanti ad un’economia in crisi come la nostra. Nel 2012 non possiamo più permetterci di affidare il nostro giudizio a questi pregiudizi: siamo tutti cittadini del mondo e tutti abbiamo lo stesso diritto a vivere in uno stato in cui sia possibile realizzarsi e vivere serenamente.
Sara Servadei