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Intervista a Gabriele Lavia

1) Che valore hanno gli  oggetti per un regista?

Se dipendesse da me ogni scenografia sarebbe costituita dagli stessi oggetti; io li porterei sempre tutti con me ma spesso non me lo permettono di fare. Non so a cosa ciò sia legato, forse al fatto che quegli oggetti, spettacolo dopo spettacolo, acquistano una loro identità, una loro ragion d’essere.

2) Sartre, a cui lei si è ispirato talvolta in passato, nella Nausea descrive l’incomunicabilità dell’uomo con gli oggetti che lo circondano, sostenendo che non c’è dialogo, relazione tra lui ed essi, poiché il loro esistere non dipende da lui. Cosa sono per lei gli oggetti?

Credo che gli oggetti innanzitutto ‘sono’. Sono degli elementi che ‘parlano’, che hanno un linguaggio che noi possiamo o non possiamo capire. C’ è un insieme di  filosofie che si sono preoccupate della relazione tra noi e gli oggetti e noi due potremmo parlarne per ore ed ore, come stiamo facendo adesso, ma a chi crede che interessi tutto questo? La gente non riflette su questo, non si pone queste domande. Gli oggetti sono lì senza che essa si preoccupi di trovarvi una spiegazione ontologica.

3) Eppure in certi personaggi teatrali da lei interpretati (come ad esempio l’Avaro di Molier) è proprio il rapporto morboso con l’oggetto a rappresentare una sorta di punto chiave. Cosa rappresenta per l’avaro quell’oggetto e in che relazione è con esso ?

Arpagone trasferisce in quella cassetta tutte le sue angosce, le sue trepidazioni e le sue paure. Si trova nei confronti di quell’oggetto in un rapporto di devozione-adorazione. Decide di nascondere il denaro in cielo, non sottoterra, proprio per sottolineare la natura ‘divina’ della ricchezza. La cassetta diviene un idolo ai piedi  del quale  prostrarsi. E’ quanto accade agli uomini, no? Il dio-denaro  è il solo Valore. Non esiste altro: tutto è destinato a finire, a dissolversi.

4) Noto un sostrato nichilista in questa sua visione delle cose…

No, non credo che debba essere considerato nichilismo questo. La vita di tutti i giorni ci descrive continue cadute di quelli che da sempre abbiamo considerato dei punti di riferimento. Non c’è niente che sopravvive e al quale ci si può aggrappare.

I valori?

Quelli vanno, vengono, cambiano in rapporto alle culture, alle civiltà… Non contano molto e non sono irremovibili perché spesso sono legati alle morali che la società ci impone, esse sono come dei muri che vengono innalzati di continuo, limitando la visuale di ciò che sta più in là. Noi non dobbiamo costruire delle morali, ma demolirle.

5) Che relazione c’è tra la morale e l’individuo avaro?

L’Avaro è un impenitente poiché vive in una condizione di dannato, ma c’è da chiedersi perché un uomo che decide di vivere come un asceta, che sacrifica la sua vita alla Privazione dei beni materiali, è considerato un colpevole. Perché l’accumulare ricchezza, senza mai goderne tuttavia, è considerato da questa società un peccato capitale? L’Uomo deve stare al di sopra del Bene e del Male.

6) Eppure c’è qualcosa a cui non si può guardare oltre: è la solidarietà, il rispetto tra gli uomini.

Quelli sono dei valori, tuttavia non lo sono per tutti. L’egoista fa del suo egoismo un valore.

7) Ritornando al teatro: secondo lei un testo letterario può essere talvolta definito ‘teatrale’ in quanto ha in sé tutti i requisiti della teatralità?

No, assolutamente. Un testo è teatrale quando viene portato in scena, senza questo è letteratura.  Il teatro ha un suo linguaggio, così come la pittura, la musica. Il teatro cancella il testo, lo annienta: attua un vero e proprio tradimento, un ‘trasporto’ verso il sinedrio del palcoscenico. Credo fermamente che una delle più autentiche  ‘azioni’ dell’uomo sia l’atto della defecazione. Il passaggio di un testo non teatrale a testo teatrale è paragonabile a quell’atto. Il teatro è il risultato di una giusta e corretta ‘metabolizzazione’, è la defecazione.

Sabina Corsaro