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Intervista a Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin  è tra i fotografi  italiani più noti  nella storia della fotografia degli ultimi 50-60 anni. Ha collaborato con le maggiori testate nazionali e internazionali (Time, Le Figaro etc.). Nel 2008 gli è stato assegnato il premio Lucie Award alla carriera, all’Università Statale di Milano gli è stata conferita la Laurea honoris causa in Storia e Critica dell’Arte; sono state  realizzate sue personali nei musei più importanti del mondo. Gardin  dal 1990 è membro dell’importante agenzia fotografica Contrasto [1] e del circolo “La gondola” di Venezia. Si concede con simpatia e semplicità alla mia intervista:

Lei sostiene che la scrittura è la forma più vicina alla fotografia. Italo Calvino, inoltre, confessava che prima delle parole nascessero in lui le immagini. Legame indissolubile quindi quello tra i due linguaggi artistici?

Sul piano pratico personalmente trovo ispirazione più dalla lettura che da ciò che guardo. La fotografia ha il vantaggio di essere differente da qualsiasi altro linguaggio visivo perché opera un atto di trasposizione della parola.

Cosa l’ha portata a scegliere la strada della fotografia: il tentativo di cogliere la realtà o di evadere da essa?

La passione, la curiosità, il lavoro sociale, il fine di rendere testimonianze dell’epoca.

Ci è riuscito con Arte direi

L’artista è il soggetto che  si fa fotografare da me, io sono solo un fotografo che ha cercato di registrare gli avvenimenti. Se poi sia riuscito attraverso alcune foto a raggiungere il linguaggio dell’Arte, non so, sono gli altri che devono trarre le loro impressioni.

Crede più in un’arte di natura realista con fini sociali o in quella che si misura con i soli parametri estetici?

Senza ombra di dubbio credo nella funzione sociale dell’Arte, la fotografia deve lasciare il racconto di una storia umana.

Perché l’uomo ha bisogno dell’arte? Se ne ha bisogno…

Il mondo non ha bisogno dell’Arte, sono solo gli animi più sensibili a sentire l’esigenza di qualcosa che appaghi i loro spiriti; la maggior parte degli uomini sulla terra ha solo bisogno di cibo, di acqua, di pace, di tutte le cose di cui ogni individuo necessita per sopravvivere.

Parlando di necessità: la crudezza di una realtà dev’essere resa Bella fotograficamente? Insomma: esiste il Brutto nel linguaggio fotografico?

Una foto non dev’essere Bella. Se per realizzarla viene adoperata la tecnica senza riuscire a trasmettere un messaggio, la foto non parla. E non sono i mezzi artificiosi a renderla poi gradevole, il Photoshop, come molti sanno, per me distrugge la fotografia, la sopprime. A volte è più importante il messaggio che la tecnica ed il ‘Brutto’ ci dice  qualcosa. La fotografia di Mulas è la prova di ciò: “non abusare per confondere il gioco della realtà, delle cose, della vita; che la macchina fotografica lavori direttamente sulla vita, usando la pelle della gente”.

Cosa consiglia ai giovani che vorrebbero intraprendere la strade della Fotografia?

Beh, ad un giovane che volesse fare pubblicità, moda o reportage consiglierei di aprire una drogheria, un’attività imprenditoriale di qualunque tipo. Non si vive di fotografia.

C’è qualcosa che non è ancora riuscito a fotografare? C’è ancora un luogo o un soggetto incontaminato da immortalare nell’obiettivo?

Sì, quel qualcosa che Salgado ha potuto fermare nel tempo perché aveva i mezzi a disposizione: i lavori dell’uomo che vanno e scompaiono per sempre.

Sabina Corsaro

Intervista del 26  settembre 2010
(Foto gentilmente concesse dall’ACAF)