Pubblicato il: 25 Maggio, 2010

Intervista a Massimo Maugeri

Massimo Maugeri  è uno scrittore siciliano, collabora con le pagine culturali di magazine e quotidiani come “Il Mattino”, “Il Riformista”, “La Sicilia”. È autore del romanzo Identità distorte (Prova d’Autore, 2005- Premio Martoglio). Ha ideato e gestisce “Letteratitudine”, blog letterario d’autore del Gruppo L’Espresso. È stato tra i co-autori del romanzo Le Aziende In-Visibili (Scheiwiller, 2008) ed ha curato il volume Letteratitudine, il libro – vol. I (Azimut, 2008). Ultimamente ha curato la raccolta di racconti Roma per le strade 2 (Azimut, 2009).

1) Da dove cominciamo? Sei una personalità eclettica: scrittore, operatore culturale, padre di uno dei blog letterari più popolari a livello europeo e non solo. Parlaci un po’ di te.

Non saprei dirti se sono una personalità eclettica, ma di certo sono molto curioso. Mi piace andare a fondo nelle cose. Sono molto introspettivo, mi pongo spesso domande. Cerco di scoprire la vita giorno per giorno e ne rimango affascinato. Sono riservato, ma al tempo stesso ho una propensione naturale per la condivisione, per lavorare insieme agli altri. Credo moltissimo nella condivisione. Lo stesso blog a cui fai cenno nella domanda è improntato sul concetto di condivisione. Mi fermo qui, perché comincio a sentirmi in imbarazzo.

2) Come e quando viene concepito Identità distorte?

“Identità distorte” è nato da un’immagine onirica, da una sorta di sogno. Ero in stato di dormiveglia e – a un certo punto – ho immaginato un uomo che entra in un ascensore e quando ne esce si ritrova trasformato in un’altra persona. Quest’immagine mi ha fatto rabbrividire e mi ha perseguitato per settimane, fino a quando non ho deciso di darle spazio in una storia… che poi avrebbe trovato uno sbocco editoriale nel 2005 nella forma del romanzo Identità distorte, appunto.

3) Attraverso uno dei tuoi personaggi prende vita una significativa verità: il fatto che non ci sia risposta senza domanda. La società descritta nel tuo libro è instabile, gremita di discrepanze e incertezze, di continui dubbi. L’individuo che si pone domande su stesso, tuttavia, sarà l’uomo che si salverà, perché dal “Chi sono?” può solo venir fuori una rinascita. L’identità come fonte di dolore e speranza nello stesso tempo?

Senza domande non ci sono risposte. Ci credo tantissimo. Sembra una cosa banale, ovvia. Eppure mi accorgo che è necessario ribadirlo. Viviamo in una società contraddittoria e – per certi versi – schizofrenica. Una società che corre, ma che – al tempo stesso – sonnecchia. Ricolma di dubbi e incertezze, sì… anche se spesso preferisce non porsi domande vere.

A volte il peso dei dubbi si regge meglio proprio evitando di interrogarsi; così come, paradossalmente, è più semplice assopirsi tra le falcate di una corsa a perdifiato, anziché fermarsi.

Sono perfettamente d’accordo con te quando sostieni che l’uomo che si salverà sarà colui che è in grado di porsi domande (a partire da quella ancestrale: chi sono io?). Ma per porsi domande, dicevo, bisogna fermarsi… e ricercare, appunto, l’identità che – dici bene – è fonte di dolore e speranza nello stesso tempo.

Non intendo fare una apologia della lentezza, ma trovo sia ancora essenziale trovare tempo e coraggio per condurre una” recherche” fuori e dentro di sé.

In fondo è proprio quello che fa lo scrittore. Si ferma e – nel raccontare una storia – pone a sé e agli altri domande. Domande, non risposte. Lo scrittore che tenta di fornire risposte, rischia di trasformarsi in demagogo.

4) La crisi della società è il riflesso di una crisi che scaturisce da una scissione dell’identità dell’individuo. Si  intravedono attraverso questa concezione i riferimenti (consci o inconsci) a Pirandello, Musil, Svevo.

Il Novecento – non solo quello letterario – deve molto a uomini come Pirandello, Musil, Svevo. Uomini differenti, con diversi approcci a una vita che ha riservato loro destini alterni. Ma tutti e tre sono stati capaci di scavare nell’uomo attraverso le loro storie. Li considero padri letterari e punti di riferimento, persone che sono state capaci di cavalcare le proprie ossessioni e trasformarle in codici narrativi destinati a lasciare un segno.

Dal mio punto di vista il rischio principale che corre l’uomo occidentale del nuovo millennio non è solo quello di dover fare i conti con la possibile scissione tra identità e individuo, ma quello di perdere anche la capacità critica per rendersi conto del rischio di incappare in tale scissione.

5) Cos’è la scrittura per te? Terapia, necessità o diletto dell’animo?

La scrittura è parte inscindibile della mia personalità, della mia essenza. Scrivo da quando ho imparato a scrivere. In prima elementare, mi racconta mia madre, scrivevo “pensierini” – lunghi intere pagine – che sorprendevano le maestre. Avevo il cassetto ricolmo di romanzi adolescenziali (che ho provveduto a distruggere, perché illeggibili e imbarazzanti). Questo per dirti che la scrittura è proprio connaturata in me. Il che però non significa che io sia un bravo scrittore, non sta a me dirlo.

Per riprendere le tre opzioni che mi fornisci, ti dico che per me la scrittura è terapia, necessità, diletto dell’animo… ma è, soprattutto, il prolungamento della mia identità (giusto per rimanere in tema).

6) Parlando di identità: chi è lo scrittore? Qual è, a tuo avviso, il suo ruolo e quali sono i requisiti per essere definito tale?

Lo scrittore è una persona che ha ricevuto in dono una malattia. La sua malattia si chiama “parola”, che è – al tempo stesso – causa e rimedio della malattia medesima. Si tratta, dunque, di un male salvifico, se elaborato in maniera giusta.

La patente di scrittore non la dà nessuno, perciò non ci sono requisiti veri e assoluti perché uno scrittore possa essere definito tale. C’è chi distingue, per esempio, fra scrittori e scriventi, facendo riferimento alla qualità – all’esito – della scrittura (e all’approccio con la scrittura). Io preferisco pensare che si può essere scrittori per sé e scrittori per il mondo esterno. In alcuni casi le due ipotesi coincidono, in altri no. A volte tale coincidenza si manifesta quando lo scrittore è in vita. Altre volte – è il caso dei cosiddetti romanzi postumi – ciò accade dopo la morte di chi ha generato l’opera. Gli esempi non mancano.

Te ne faccio uno, particolarmente significativo.

Immagina un lavoratore manuale siciliano non molto colto nato agli inizi del Novecento, che – dopo anni di sudore e una vita di stenti, peripezie, stratagemmi vari e improvvisate strategie di sopravvivenza – decide all’improvviso di sedersi e di raccontare. Di raccontarsi. Immagina che quest’uomo sia un semianalfabeta, ma che l’esigenza narrativa è così forte, così pressante, che nemmeno la carenza linguistica può costituire per lui una barriera insormontabile.

Quest’uomo è esistito davvero. Si chiama Vincenzo Rabito, ed è nato a Chiaramente Gulfi nel 1899. Pensa… un semianalfabeta che, battendo come un forsennato sui tasti di una macchina da scrivere malmessa, è riuscito a buttare giù una delle opere più straordinarie e monumentali tra le scritture popolari mai apparse in Italia (pubblicata di recente dalla Einaudi con il titolo di “Terra matta”).

Rabito era uno scrittore? Io penso di sì. Lo era, ancor prima di mettersi davanti alla macchina da scrivere.

Quello che voglio dire è che perfezionare la scrittura si può, le tecniche si acquisiscono, la grammatica si può imparare. Ma lo sguardo, la capacità di decifrare il mondo, di trasformare le proprie mancanze in una storia… be’, queste caratteristiche – proprio perché tali – prescindono dai percorsi di apprendimento. Ecco perché dico che, in certi casi, la parola è dono. Una malattia che diventa dono. O un’ombra che ti segue dappertutto. Per ignorarla, per far finta che non ci sia, devi spegnere la luce, stare al buio. Ma spegnere la luce equivale a rinunciare a vivere in pienezza.

Il ruolo dello scrittore, allora, consiste nel far sì che la luce rimanga accesa… e nel mettere quel dono a disposizione di se stesso e degli altri.

7) Senza dubbio il parlare di Letteratura  ai tempi di internet  risulta oggi  temerario. La tua grande invenzione letterario-comunicativa (se così possiamo dire) è “Letteratitudine”. Quando e perché hai deciso di creare un blog? Avevi già un disegno o tutto si è evoluto da sé?

Letteratitudine è nato per caso. Come ho avuto modo di dire in altre occasioni è sorto in concomitanza con la nascita della mia secondogenita, come tentativo di non perdere la “connessione” con il mondo letterario senza spostarmi da casa. Lo pensai sin da subito come un luogo aperto (open blog), con l’idea (il sogno) di far confluire al suo interno le voci di persone che operano in campo letterario e editoriale: scrittori, lettori, critici, giornalisti culturali, librai. Un luogo, cioè, dove io avrei messo a servizio il mio tempo e le mie risorse per dare spazio e voce agli altri, con l’obiettivo di innescare uno scambio, un confronto sano.

Tuttavia non avrei mai potuto immaginare il grande successo di cui il blog beneficiò in tempi relativamente brevi.

8) Ci sono nomi importanti tra quelli che vi scrivono, ma, in generale, chi sono i frequentatori di questo tuo spazio letterario?

Da Letteratitudine sono passati autori importanti (giovani e meno giovani): da Dacia Maraini a Ferdinando Camon, da Valerio Evangelisti a Paolo Di Stefano, da Roberto Alajmo ai Wu Ming, da Antonella Cilento a Giuseppe Genna, da Beatrice Masini a Giuseppe Montesano, da Elvira Seminara a Giorgio Montefoschi (l’elenco potrebbe continuare, ma dato che non posso citare tutti preferisco fermarmi qui). Ma è anche un luogo dove si sono affacciati tanti esordienti. Alcuni di loro li ho visti crescere e raggiungere traguardi importanti: è il caso della scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono, per esempio, che con il suo romanzo d’esordio “Tu non dici parole” (Perrone editore) ha vinto il Premio Vittorini.

Ma soprattutto ci sono i miei cari letteratitudiniani… i tantissimi lettori/commentatori che, con i loro interventi di altissimo livello, rendono vive e interessanti le discussioni on line che propongo. Senza di loro Letteratitudine non avrebbe ragion d’essere.

Non smetterò mai di ringraziarli, per questo.

9) Su “Letteratitudine”, tra  gli innumerevoli dibattiti interessanti e animati, si è discusso  del rapporto, non sempre idillìaco, tra autori ed editoria. Diamo un consiglio ai giovani potenziali e futuri scrittori: come possono individuare le case editrici poco serie, e quindi schivarle?

Agli aspiranti scrittori dico questo. Non cedete alla tentazione di affidare il vostro manoscritto a uno dei cosiddetti “editori a pagamento”. Non fareste bene né a voi, né alla letteratura. Piuttosto aprite un blog e riversate lì i vostri scritti. Sono convinto che chi vale davvero, con un po’ di fortuna (che sempre ci vuole nella vita), può venir fuori anche attraverso Internet. Ci sono molti esempi, in tal senso.

Un sito importante che consiglio agli esordienti è “Il rifugio”, vero e proprio punto di riferimento.

È stato molto utile anche a me agli inizi.

10) “Letteratitudine” è diventato talmente noto che da un po’ ti è stata anche offerta la possibilità di gestire  uno spazio radiofonico intitolato proprio “Letteratitudine”. Ce ne parli? Anche questo spazio è interattivo?

Anche l’esperienza radiofonica è nata per caso.

Qualche mese fa mi ha contattato via Facebook Gabriele Pugliese, il direttore di Radio Hinterland (una radio che trasmette in Fm nel territorio di Milano e provincia, ma che va in diretta – in streaming – anche via Internet), il quale mi conosceva per via di Letteratitudine. Pugliese mi ha proposto uno spazio all’interno della radio per condurre una trasmissione culturale che si occupasse di libri e letteratura. All’inizio avevo qualche perplessità, e infatti ho declinato l’invito. Poi Pugliese mi ha chiamato più volte al telefono, e – alla fine – mi ha convinto.

Oggi, dopo qualche mese di esperienza, gli sono molto grato. Per me, questa della radio è senz’altro un’esperienza  entusiasmante e arricchente. Per certi versi, mi ci sento… “tagliato”.

Di cosa si tratta? In sintesi non è altro che uno spazio radiofonico settimanale integrato con il mio blog Letteratitudine. La trasmissione, d’altra parte, si chiama “Letteratitudine in Fm”. Spesso invito gli ospiti che passano sul mio blog, ma non solo. Per lo più scrittori e addetti ai lavori del mondo dei libri e della letteratura. Più che interviste, però, le mie sono vere e proprie chiacchierate, improntate sulla spontaneità e senza alcun formalismo. Il mio obiettivo è mettere l’ospite a proprio agio e indurlo a raccontare e a raccontarsi nel modo più naturale possibile… mi piace vedermi come una sorta di “medium invisibile” tra l’ospite e gli ascoltatori. E questo trattamento lo riservo a tutti: sia agli autori noti al grande pubblico (ho avuto il piacere di ospitare, tra gli altri, Gianrico Carofiglio, Dacia Maraini, Catena Fiorello, Roberto Alajmo), sia agli esordienti, sia agli addetti ai lavori più tecnici (come editor ed editori… anche di case editrici importanti come la Einaudi, la Rizzoli, Marsilio). Ma tanti altri ospiti passeranno ancora da “Letteratitudine in Fm”.

La trasmissione va su Radio Hinterland ed è ascoltabile in Fm a 94.600 nel territorio della province di Milano e Pavia, ma va anche in streaming via Internet (di conseguenza è ascoltabile ovunque). La programmazione prevede due “momenti”: il venerdì mattina a partire dalle h. 12:30 e – in replica – il martedì sera a partire dalle h. 21.

Nei giorni successivi le trasmissioni sono riascoltabili in podcast sul sito di Radio Hinterland e su Letteratitudine.

11) In una società sempre più frenetica, superficiale, dedita ai successi facili, ai riscontri immediati, quale spazio è rimasto alla “Riflessione sul mondo”?

Uno spazio angusto che ciascuno di noi ha la responsabilità di estendere, sia singolarmente sia in quanto appartenenti a una collettività. Gli strumenti non mancano. Internet, come dicevamo, è uno di questi. In fondo anche tu, anche voi, con Lo Schiaffo, contribuite ad allargare gli spazi sulla “Riflessione sul mondo”. Ecco. Uno schiaffo metaforico contro la pigrizia e l’assopimento mentale. Credo ce ne sia bisogno.

12) Il linguaggio letterario sopravviverà negli anni che verranno?

Il linguaggio letterario sopravvivrà fin tanto che sopravvivrà l’uomo.

13) Calvino, Proust, Sciascia: esistono differenze reali tra la letteratura ‘realista’, ‘verista’  e quella ‘immaginaria’ (interiore o meno)? Esistono realmente le differenze di genere?

L’uomo ha da sempre avuto l’esigenza di dare ordine alle “cose”. Tale necessità trova applicazione in qualunque ambito dell’esperienza umana. Nemmeno la letteratura si sottrae a tale bisogno. Per cui esistono le differenze di genere, nella misura in cui si sente l’esigenza di assemblare, incasellare, i libri per tipologie. Le diversità ci sono e possono essere riscontrate, certo; come è ovvio, però,  tutto è relativo. Faccio un esempio. Se si pensa alla letteratura cosiddetta “gialla”, si pensa normalmente a un genere facile, leggero, aperto a tutti. Anche se libri come “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda o “Nel nome della Rosa” di Eco sono tutt’altro che facili e leggeri.

Discorso a parte meritano le correnti letterarie, che molto spesso nascono dall’esigenza degli scrittori/membri di riunirsi attorno a una sorta di manifesto letterario più o meno dichiarato e per motivi svariati.

Calvino, Proust e Sciascia hanno scritto libri diversi e – credo – non facilmente assimilabili: ma i libri che hanno scritto sono sopravvissuti alla scomparsa dei loro autori. Ecco. Forse la grande vera differenza la sancisce il tempo (giudice severo e, molto spesso, giusto): ed è quella tra i libri che rimangono (e che sopravvivono ai loro autori) e quelli che farfalleggiano durante il ciclo breve ed effimero di una stagione.

14) Concludiamo con una riflessione sartriana: Perché la Letteratura?

Perché la Letteratura è libertà e (ti rispondo con Sartre) “l’uomo è condannato ad essere libero”.

Sabina Corsaro

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