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Intervista a Pina Ferraro: “contro la violenza agire subito”

In seguito all’articolo de “Lo Schiaffo” del 6 Agosto scorso, riguardante la paventata chiusura del centro antiviolenza Thamaia di Catania, abbiamo incontrato una delle fondatrici, attualmente responsabile della rete antiviolenza distrettuale dott.ssa Pina Ferraro per capire cosa è cambiato da allora.

Dott.ssa Ferraro cosa è successo dopo la pubblicazione del comunicato stampa sul vostro sito?

Non è successo niente, ma è logico, anche a causa delle ferie estive e poi i cambiamenti non avvengono mai in modo repentino perché si tratta di decisioni che hanno bisogno di tempo. Ciò che mi sembra molto strano è l’atteggiamento delle istituzioni, spesso abbastanza schizofrenico, soprattutto nell’ultimo periodo: a voce dichiarano di voler agire sul fenomeno della violenza sulle donne, con politiche di contrasto, ma poi sia a livello nazionale sia a livello regionale non esistono né intenti programmatori né azioni concrete. Catania è l’emblema di questa situazione. Certo, almeno abbiamo avuto una piccola soddisfazione con lo smascheramento della cricca dei servizi sociali e i successivi arresti e denuncie a piede libero – di cui però oggi non si sa più nulla

Perché non potete avere dei finanziamenti per continuare la vostra attività in modo sereno?

La legge 328, introdotta anche per evitare clientelismi, nasce come strumento programmatico attraverso un’attività di lettura dei bisogni sociali, laddove si manifestano,  condivisa da più attori. Come funziona o dovrebbe funzionare ? Viene predisposto un piano programmatico condiviso da tutti gli attori locali – pubblico e privato – che appositamente elaborato dal Comune, unitamente ai comuni appartenenti al distretto (Catania, Misterbianco e Motta), viene presentato alla Regione Sicilia. In tutti gli anni in cui sono stati previsti i tavoli tematici con gli attori locali, noi abbiamo sempre partecipato e contribuito con analisi e dati seri e concreti che davano definizioni chiare sulle esigenze rispetto al fenomeno della violenza di genere. Ma se tutto ciò a livello di programmazione politica viene eluso – cioè non emerge, dal piano presentato alla regione, la volontà di predisporre bandi per contrastare la problematica della violenza di genere – è chiaro che non ci saranno linee di finanziamento e quindi il Comune non può erogare fondi, a meno che non si ricorra ai canali clientelari. Tra l’altro non è inusuale che i bandi e le comunicazioni siano spesso poco trasparenti e non poche volte abbiamo trovato difficoltà a partecipare ai bandi. Quindi viene a mancare anche questo sostegno. Dall’altra parte non possiamo dire alle donne che seguiamo in accoglienza adesso chiudiamo, perché le richieste di aiuto ci sono ed è necessario mantenere un rapporto di continuità.

Com’è la situazione a livello locale?

A livello locale, guardando alla nuova giunta, onestamente devo dire che non abbiamo avvertito un cambiamento visibile. Non ho visto nessuna rottura con il passato così tanto sbandierata. Non si è ancora pensato, ad esempio, di creare un tavolo di concertazione e analisi, con tutte le associazioni presenti sul territorio per discutere dei problemi reali di questa città. Cosa che ricordo essere stata fatta dalla giunta Scapagnini – non che allora le cose andavano magnificamente. In questo momento di crisi, secondo me, occorrono azioni concrete che rispondano alle reali esigenze del territorio mettendo insieme le forze ed evitando inutili sprechi di risorse in azioni “nuove” cancellando il passato e quello che di buono è già stato costruito. Del resto questo non è un problema solo nostro, ma di tante altre associazioni che in questa città operano e contribuiscono ad allentare la tensione sociale. Abbiamo cercato di sensibilizzare le consigliere comunali e di organizzare incontri, ma niente di più che esibizioni fine a se stesse. Una nota positiva però c’è – e questo ci dà la spinta  ad andare avanti: due anni fa siamo stati finanziati dalla chiesa valdese che usa il suo 8 per mille per finanziare progetti sociali. E tra tutti i progetti finanziati c’era anche il nostro. Ma adesso niente di niente.

Quale potrebbe essere la soluzione al non indifferente problema economico, perché, ricordiamolo, lavorate gratuitamente.

Ogni tanto, abbiamo partecipato a dei bandi, quando ne siamo venuti a conoscenza in tempo. La Regione Sicilia è bloccata, ci sono ancora uffici senza dirigenti e la programmazione dei fondi europei è bloccata. Ciò a cascata ci crea dei problemi. C’è una paralisi istituzionale e politica che crea enormi difficoltà. Ad esempio, pensi che ancora aspettiamo i soldi del 2007 e degli anni successivi del 5 per mille. E questi  darebbero linfa vitale al nostro operato quotidiano. Il discorso, però,  non si può fermare a livello locale. Ricordiamo che il primo atto della Ministra Carfagna, appena insediatasi, è stato toglierci quel po’ di respiro che era stato predisposto dal governo precedente. Tutto ciò perché occorrevano fondi per finanziare l’operazione Ici. Comunque, nonostante le enormi difficoltà, continuiamo a mantenere viva la rete antiviolenza così che i rapporti con le istituzioni – e con le persone che le rappresentano – possano fornirci supporto nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Quando abbiamo aperto il centro, 10 anni fa, abbiamo voluto parallelamente costruire una rete con diversi soggetti istituzionali e non, e per fare questo ci vuole tempo, risorse, impegno, dedizione. Noi ci siamo impegnati fin dal primo giorno a fare ciò e su questo non molleremo.

Però è stata data molta visibilità al numero antiviolenza ed è stato creato il D.L. sullo stalking.

Il numero antiviolenza – che già esiste da parecchi anni –  è un aiuto importante, ma non si possono dare ampie aspettative e poi fermarsi e bloccare il processo. Che fine ha fatto la legge regionale di finanziamento dei centri antiviolenza?  E il piano nazionale d’azione che la ministra da tempo annuncia? Purtroppo, oggi fa moda e, inoltre, fa conseguire voti dire che ci si vuole occupare di violenza, ma nella realtà poi non si impegnano come dovrebbero perché è un problema marginale secondo loro. C’è un problema di cultura che non cambia. La legge sullo stalking è sicuramente positiva, anche se ha tante lacune. Grazie a questa norma oggi si parla di più di violenza contro le donne, è stata fatta una buona campagna mediatica, si sono scardinati un po’ di luoghi comuni. Ma nello stesso tempo, sono sorti servizi come funghi che, però, hanno poca competenza su un fenomeno molto complesso, strettamente connesso alla violenza di genere. Infatti lo stalking viene preso sotto gamba e il proliferarsi di servizi e centri pseudo esperti di antiviolenza, rischia di portare la vittima direttamente nelle mani dell’assassino. Occorre conoscere a fondo il fenomeno e comprenderne le connessioni con la cultura patriarcale e maschilista sempre presente nella nostra società – anche se oggi pensiamo di essere molto emancipate – e avere chiare le implicazioni che ciò comporta per una donna. Non è facile denunciare l’uomo che si è scelto per la propria vita affettiva e non è altrettanto chiaro comprendere che quell’amore si può trasformare in inferno e può portarti alla morte. Occorre un processo di consapevolezza e supporto che non può essere inventato al momento o sperare che emerga solo perché una donna richiede un ammonimento al questore o presenta una querela. Se non gestita adeguatamente tale azione può veramente risultare pericolosa per la donna, vittima di stalking o di maltrattamento!

Rischiate quindi di chiudere il centro?

Non penso che chiuderemo mai. Ridurremo certamente  i giorni di apertura. Il percorso di fuoriuscita dalla violenza che le donne stanno portando avanti non può essere interrotto, ma nella realtà il centro si regge sull’opera volontaria delle operatrici ( cinque si occupano di accoglienza e quattro di accoglienza telefonica). Il primo contatto avviene, infatti, al telefono o per invio di qualche operatrice del territorio, che funge da filtro, o perché la donna chiama direttamente perché ci conosce. Si forniscono le informazioni più urgenti e poi si cerca di analizzare se e quando fissare un appuntamento con l’operatrice di accoglienza. Il centro continua ad andare avanti, ma abbiamo sospeso le attività extra, i convegni e i seminari, utili a creare la rete di cui parlavo prima e, quindi, a sensibilizzare rispetto alla problematica. Abbiamo anche altre operatrici, che sono di supporto al percorso di accoglienza – si occupano dei bambini delle donne che sono a colloquio. Inoltre il centro offre consulenza legale , attraverso l’attività volontaria di quattro avvocate (due civiliste e due penaliste), delle psicologhe e altre operatrici che si occupano di statistiche e di fundraising.

Purtroppo a Catania sembra che non si riesce a scuotere le coscienze. Mi chiedo cosa deve avvenire ancora per fare muovere qualcosa. E la cosa grave è che se noi non fermiamo la violenza sulle donne, lasceremo alle generazioni future un modello violento e bambini che apprenderanno un codice violento nella relazione di coppia.

Cosa pensa della violenza sbandierata in tv?

E’ una medaglia a due facce: da un lato alcune donne decidono di denunciare, vedendo certe cose in tv. Ma quando le trasmissioni più svariate – e certamente non preposte a ciò – invitano persone inesperte a parlare di certi fenomeni così complessi, parlamentari e/o gente che non ha mai avuto a che fare con la violenza, si crea un impatto così forte che si tende a distanziare il problema e in quel caso la donna che vorrebbe chiedere aiuto ritorna nella sua solitudine. Ci dovrebbe essere una maggiore responsabilità etica e personale nel mettere in piedi programmi che possono produrre esiti negativi sulla gente, perché gestiti da chi non ha competenze specifiche su di un fenomeno. Purtroppo però la violenza fa moda, ma la sovraesposizione della donna vittima non fa bene. Non si ha bisogno di portare le donne con i lividi in tv, o esporre violentemente la sofferenza davanti lo schermo per fare audience, basterebbe parlare del problema in modo competente e fornendo informazioni utili che possano avvicinare la donna a sé stessa e a supportarla nel chiedere aiuto.

Giuseppina Cuccia