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Intervista a Pino Scaccia: il gabbiano di frontiera

Pino Scaccia è inviato del TG1, blogger e autore di libri (La torre di Babele, Armir sulle tracce di un esercito perduto, Kabul, Sequestro di persona); ormai il suo volto ci è noto. Dotato di una profonda umanità, osserva rigorosamente i ‘precetti’ del Giornalista ormai in estinzione: lealtà e professionalità:  “Quando muore uno di noi, non importa la nazionalità e neppure il ruolo: può essere un fotografo o un fonico, un operatore o un producer: uno di noi. E allora ti accorgi che stai in mezzo a una guerra vera, dove sparano sul serio, non è un film, e se non capita a te ma a qualcun altro è solo casualità, destino. Chiunque di noi si è trovato spesso in difficoltà. Ma nessuno di noi è un eroe nè ha la vocazione di diventarlo. Si va in guerra, sembra banale, come si va in qualsiasi altra parte del mondo a “raccontare”: può essere una festa e può essere l’inferno (Pino Scaccia, ProfessioneReporter)


1)      Com’è iniziata la tua carriera giornalistica?

Da giovanissimo, scrivendo di sport locale su piccoli giornali. Rigorosamente gratis per tanti anni.

2)      Cosa avresti voluto fare da grande?

Da giovane amavo due cose: viaggiare e scrivere. Ho trovato un lavoro che me le permette entrambe. E addirittura mi pagano.

3)      Com’è cambiato nel tempo il lavoro del giornalista, in particolare dell’inviato?

Il mestiere di inviato rischia di estinguersi. Con l’alibi economico in realtà si fanno sparire i testimoni. Molto più facile omologare poche fonti.

4)      Ci racconti la giornata tipica di un ‘gabbiano di frontiera’, come ami definirti tu?

Se ci fosse una giornata tipica non sarebbe frontiera. Dipende dalle situazioni: capita di dormire due giorni di seguito e poi di lavorare ininterrottamente per una settimana, senza dormire né mangiare.

5)      Che idea ti sei fatto di certe realtà in perenne guerra e miseria? Coincide interamente con i tuoi resoconti giornalistici?

Spero di riuscire a rendere, ma non è facile spiegare la fame o la disperazione o il dolore: bisogna provarli.

6)      C’è stato un contesto specifico in cui hai provato paura per la tua incolumità fisica e per il tuo lavoro?

Molte volte. Prima nei Balcani e poi in Iraq. Una volta ci hanno sparato con quattro kalashnikov contemporaneamente, un’altra volta è saltata una bomba sotto la nostra vettura.

7)      C’è stata mai una verità scomoda che hai dovuto portare alla luce con i rischi che ne sarebbero poi conseguiti?

Spesso ma soprattutto con il caso Farouk. Sapevo che la polizia aveva inventato un finto blitz per liberare il ragazzo in Sardegna, io l’ho detto anticipando tutti e facendo saltare l’operazione facendo imbestialire il Viminale. Ma l’ho detto.

8)      Quale luogo ti ha segnato di più, nel bene e nel male?

Io li ho tutti nel cuore. Sicuramente l’Afghanistan ha un posto particolare.

9)      Quanta verità c’è nei giornali sulle cose che accadono lì dove l’informazione dipende quasi esclusivamente dai giornalisti che le vedono?

Se ci sono giornalisti liberi di raccontare e non solo agenzie controllate dai regimi la verità viene fuori.

10)  Quanto un’ideologia può condizionare la visione dei fatti?

Un giornalista vero non ha ideologie, ha idee che però sono accantonate dalla coscienza professionale che impone di raccontare quello che si vede, non quello che si pensa.

11)  E’ legittimo parlare di giornalismo militante?

In certi casi, ma sono rarissimi, solo le testate dei partiti. Anche nei giornali di opinione i fatti in fondo contano.

12)  In Italia, secondo te, c’è un giornalismo ‘puro’ o ci sono tanti giornalismi quante sono le fazioni politiche?

Il giornalismo non è mai puro nel vero senso del termine perché i condizionamenti sono tanti. C’è sempre un editore o comunque interessi dietro il giornale. Dunque diciamo che la verità è rappresentata da varie verità di parte.

13)   Quale percorso consigli ai giovani che  vorrebbero fare i giornalisti?

Anche in questo caso non ci sono percorsi prestabiliti. Bisogna agganciarsi a qualche testata, ma è sempre più difficile perché la concorrenza cresce ogni giorno. L’unico consiglio è di puntare, all’inizio, in basso cioè nelle piccole testate dove c’è più possibilità di trovare un buco.  E poi avere spirito d’iniziativa, inventarsi qualcosa. Lo capisco, non è facile.

14)   Quale sarà il futuro del giornalismo?

Il giornalismo del futuro sarà molto diverso da quello tradizionale. Si moltiplicano gli strumenti, la tecnologia sta trasformando tutto, c’è crisi. Credo che si lavorerà soprattutto al desk, davanti al computer. Di fatto diventerà un altro mestiere tipo “impiegato della notizia” dove devi sistemare le informazioni che arrivano da altri. Come dire che il Giornalismo (uso volutamente la maiuscola) in sostanza sta morendo. Già è in agonia.

Forse la vera speranza sarà quella di avere ancora uomini che credono nella libertà dell’informazione  e nella ricerca della verità, sarà la sopravvivenzai  sporadica di” gabbiani di frontiera”.

Sabina Corsaro