Pubblicato il: 17 Aprile, 2010

Intervista ad Alfio Leocata – “Catania non mi ama”

Alfio Leocata è un catanese che Catania non conosce, un siciliano che (es)porta e fa amare la musica della tradizione siciliana in tutto il mondo, ma che la Sicilia non apprezza come dovrebbe. A soli quattro anni ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica e già a dieci anni vinse, insieme al gruppo Folk “La Zagara”, il primo premio al Festival Folk di Corato (Ba). Ha suonato con musicisti di altissimo livello e si è esibito in tutto il mondo davanti a personaggi importanti. Ha partecipato inoltre ad alcuni film tra cui “Storia di una capinera” di Zeffirelli, suonando dal vivo durante le riprese, e “La Lupa”, dove ha curato il suono delle percussioni. A 36 anni, ha alle spalle ben 30 anni di esperienza, ma anche tante aspettative per il futuro, che forse realizzerà lontano dalla sua amata terra.

– Cosa fa Alfio Leocata a Catania?

Bella domanda (sorride). A livello musicale poco o niente. Pensa che il mio primo spettacolo a Catania, dopo 30 anni, l’ho tenuto in Piazza Università la sera di Capodanno 2010, naturalmente gratuitamente. Collaboro con Gino Finocchiaro e i suoi figli Salvo e Diego e con Pippo Grillo. Lavoro maggiormente nel messinese, a Taormina in particolare. E li, faccio parte del gruppo “Naxion Skene”, composto da me e da Paolo Buemi (Fisarmonica), i fratelli Carmelo e Antonello Sgroi (voce e percussioni) e Gianni Sardisco (Chitarra).

– Perché Catania non ti apprezza come vorresti?

In realtà Catania non è attenta alle tradizioni e non riesce a farle sopravvivere né tantomeno ad esportarle. Le istituzioni sono sorde e la situazione non è solo frutto della crisi, ma tutto è fermo da almeno dieci anni. Fuori dalla Sicilia è un’altra storia: la cultura siciliana è apprezzata e capita. Americani e russi si esaltano quando ascoltano la nostra musica, mentre i tedeschi amano tantissimo le tradizioni siciliane e molti di loro addirittura collezionano brani della musica tradizionale siciliana.

– Quali sono gli strumenti che suoni?

In primis il friscalettu. A sei anni lo trovai dentro un cassetto di casa, era lì abbandonato e mi incuriosì. Era di mio padre, glielo aveva donato Raimondo Catania e a lui mio padre mi affidò affinché imparassi a suonarlo. In un anno e mezzo, senza nessun appunto scritto, solo verbalmente come si usava fare per trasmettere le tradizioni popolari, imparai a suonarlo. Poi mi sono perfezionato con Franco Faro e in seguito ho imparato a suonare anche la zampogna e il tamburo a cornice.

– Riesci ancora a reperire gli strumenti?

Purtroppo diventa sempre più difficile. Il friscalettu, ad esempio, fa parte della tradizione agropastorale siciliana e, assurdo a dirsi, non ci sono più bravi costruttori nella nostra zona. Invece uno bravo è Paolo Putzu di Barcellona Pozzo di Gotto, ma di origine sarde.

– Quanti friscaletti hai nella tua collezione?

I più pregiati sono sei: uno di Raimondo Catania e, tramite lui, ho avuto lo strumento a cui tengo di più, un friscalettu di Giovanni Greco. Non l’ho conosciuto di presenza ma è stato il migliore friscalettaru dei nostri tempi. E quando i più anziani mi dicono che qualcosa, nella mia musica, assomiglia alla sua, mi emoziono. Un altro friscalettu a cui tengo molto è uno di Carmelo Russo, un personaggio incredibile.

– Parlaci di “Konnùbio”.

“Konnùbio” è un’opera che racchiude in sé la sintesi tra i diversi strumenti della tradizione siciliana e non. Filo conduttore naturalmente è il friscalettu, strumento tanto semplice e limitato, ma anche capace di andare al di là delle proprie origini di appartenenza. Ci sono voluti circa due anni di lavoro, ma alla fine è venuta fuori un’opera unica nel suo genere.

– Se pensi al futuro cosa vedi?

Alcuni progetti in cantiere ci sono, ma preferisco non parlarne fin quando non avrò la certezza della loro possibile realizzazione. Oltre alle collaborazioni con gli artisti di cui parlavo, suono in eventi di ogni tipo, da solo o col gruppo (per maggiori informazioni è disponibile il sito web www.alfioleocata.com). Mi piacerebbe un giorno poter vivere di sola musica, ma purtroppo ho paura che resterà solo un sogno.

– Cosa pensi di quegli artisti che sono andati fuori dalla Sicilia e dall’Italia?

Penso che sono stati coraggiosi e che, se sono andati via, è perché hanno creduto nelle loro capacità. Forse anch’io andrò via, e non più solo per brevi periodi come ho fatto finora.

Giuseppina Cuccia
(foto gentilmente concessa dall’autore)

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