Intervista ad Angelo Peruzzi : “Il gruppo in campo non ha funzionato…”
Ex portiere di Roma, Juve, Inter e Lazio, nonché campione del mondo ai Mondiali di Germania 2006, Angelo Peruzzi racconta in esclusiva a “Lo Schiaffo” le sue impressioni sulla deludente avventura appena conclusa con la Nazionale Italiana in Sudafrica, dove il CT Marcello Lippi lo ha fortemente voluto nel suo Staff tecnico.
Al rientro in Italia, lo incontriamo nel suo paese natale, Blera, in provincia di Viterbo, dove attualmente ricopre la carica di Vicesindaco.
Ciao Angelo, bentornato. Arriviamo subito al punto: cosa non è andato in Sudafrica?
“Beh, stabilire così, su due piedi, quali siano le cause che hanno portato all’eliminazione dell’Italia non è cosa semplice. E’ certamente l’insieme di molti fattori che ha contribuito. In Sudafrica abbiamo tentato di creare un equilibrio che non siamo riusciti ad ottenere. Il gruppo in campo non ha funzionato e, nonostante l’impegno che tutti abbiamo investito in questo progetto, le cose non sono andate per il verso giusto.”
La stampa ha duramente attaccato Lippi, incolpandolo di aver fatto scelte tecniche sbagliate e di aver lasciato a casa giocatori importanti, su tutti Cassano e Balotelli.
“Lippi è un uomo determinato, uno che va dritto per la sua strada. Quattro anni fa ha vinto un Mondiale ed è stato giustamente osannato per quell’impresa. Ora tutto è cambiato e altrettanto giustamente il CT si assume tutte le responsabilità, e noi dello staff tecnico insieme a lui.
Per quanto riguarda le convocazioni mancate: il primo, Cassano, è un ottimo giocatore, non c’è dubbio, ma non capisco tutto questo gran chiasso: evidentemente Lippi ha tenuto conto del fatto che in Nazionale Antonio non ha mai fatto davvero la differenza, penso all’Europeo di due anni fa. In ogni caso, è una scelta tecnica che va rispettata.
Il secondo è un grande talento, che però deve ancora crescere per dimostrare tutte le sue potenzialità. Molta stampa ha scritto che probabilmente il CT ha scelto di non convocare Balotelli perché giudicato una “testa calda” che avrebbe destabilizzato l’ambiente e lo spogliatoio. So per certo che non è così. Lippi stima molto Balotelli, ma ha scelto di puntare su giocatori di maggior esperienza.
Forse si può recriminare a Lippi di non aver tenuto conto che per molti di loro, rispetto a Germania 2006, erano passati quattro anni e la condizione fisica non poteva essere più la stessa. Era la sua e la nostra scommessa, e stavolta l’abbiamo persa. Nel calcio, come nella vita del resto, si ha anche diritto a sbagliare qualche volta.”
Spostiamo il discorso da Lippi al calcio italiano in generale. Abbiamo visto giocatori affaticati, quasi impauriti, pochi giovani reattivi e motivati in campo. Che succede al calcio italiano?
“Il problema secondo me va ricercato alla radice. Intendo dire che oggi per una squadra di club diventa difficile e poco remunerativo investire sui giovani talenti italiani. Perché – e lo dico senza retorica di sorta – il calcio è cambiato: oggi un ragazzino di quattordici anni va a sostenere i provini nelle grandi squadre portandosi dietro una serie di procuratori, manager, avvocati che curano i suoi interessi per tentare di ricavarne un guadagno economico che sia il più alto possibile. Questo fa sì che una squadra preferisca scommettere sui giovani stranieri, che costano alla società molto meno. Tutto ciò naturalmente si ripercuote in senso negativo a più livelli: sia per quanto riguarda, come già detto, i vivai italiani, che sempre più difficilmente riescono ad offrire al calcio italiano un ricambio generazionale di giovani motivati, sia, appunto, sull’aspetto psicologico del giocatore stesso, che a sedici o diciassette anni si sente già una star appagata. E’ un circolo vizioso dal quale si deve uscire.”
Sì, il calcio è decisamente cambiato. A questo proposito, cosa pensi della recente dichiarazione di Dunga (l’allenatore del Brasile, n.d.r.) che vede nella globalizzazione la più evidente chiave di lettura del calcio contemporaneo? Quanto essa ha davvero cambiato il calcio internazionale?
Penso a una squadra come la Germania, che è l’esempio lampante di come la globalizzazione rappresenti oggi il fattore di maggior cambiamento, anche nel calcio. La nazionale tedesca mette in campo molti giocatori di etnie diverse, naturalizzati tedeschi, e questo fa sì che si possa scegliere tra un ventaglio di giocatori più ampio, ragazzi che hanno esperienze di vita e percorsi professionali molto diversi tra loro. Sono giovani che stanno facendo molto bene e dimostrano come l’eterogeneità rappresenti un punto di forza del gruppo e non una discriminante negativa.
In Italia, questo non succede. E se si aggiunge che sono pochissimi gli italiani che giocano all’estero – e che quindi hanno la possibilità di confrontarsi con altri campionati – si capisce quanto la Nazionale Italiana abbia la necessità di rinnovarsi e mettersi al passo coi tempi.
C’è qualche giocatore che ai Mondiali ti ha particolarmente impressionato?
Potrei fare i nomi di Messi o di altri che si sono già ampiamente affermati nel calcio a livello internazionale. Ma se dovessi scegliere, allora direi Hernandez del Messico e Suarez dell’Uruguay, due centravanti che hanno di fronte un grande futuro.
Ora che l’avventura italiana al Mondiale è conclusa, come giudichi la tua esperienza in Sudafrica? Dopo una carriera da calciatore ai massimi livelli, ti sei ritrovato sulla panchina azzurra al tuo primo Mondiale “in giacca e cravatta”. Come ti sei trovato?
Beh, quando sei in campo tenti di dare il massimo soprattutto per te stesso, sapendo che la tua prestazione può contribuire alla vittoria finale dell’intera squadra. In Sudafrica ho svolto un ruolo completamente diverso, che richiede responsabilità del tutto nuove: ti ritrovi a lavorare per 23 giocatori e il tuo unico scopo è quello di far sì che il gruppo funzioni. Sono deluso per come siano andate le cose, questo è ovvio, ma in ogni caso giudico questa esperienza positivamente.
Cosa ti aspetti dal tuo futuro professionale?
Ora che la mia esperienza con la F.I.G.C. può dirsi conclusa, mi piacerebbe continuare a lavorare nel mondo del calcio, magari come Direttore dell’Area Tecnica di qualche club. Sono aperto a più possibilità e rimango in attesa di quella più interessante.
Aldo Nicodemi