Pubblicato il: 24 Gennaio, 2009

Israele-Palestina: i “se” e i “ma”

israele-palestina1Si riaccende, più infuocata che mai, la storia di una terra dove c’è sempre un popolo di troppo. Il dramma di una guerra “infinita” che non ammette dialogo e che non trova soluzione, torna a far parlare di un universo così vario e intricato. Scuote le coscienze, rinnova il ricordo e chiama all’appello persino i “Grandi” della terra, riportando nel quadro delle loro attenzioni una causa mai risolta. Quella del conflitto israelo-palestinese è la storia di una terra strappata, come un tappeto sotto i piedi, da un popolo ad un altro. Da un lato, il “bisogno” occidentale, nell’immediato dopoguerra, di riscattare il popolo ebraico dal dramma della Shoah “creandogli” e “regalandogli” uno Stato. Con un particolare: quello Stato, però, non nasce dal nulla. Quello Stato è – o meglio, era – terra di un altro popolo. D’altra parte, poi, l’attaccamento di quell’altro popolo a un territorio che gli appartiene. Una casa troppo stretta per due personaggi così diversi: il primo, massacrato, deportato e umiliato, sceglie di ritagliarsi, in questo tragico spettacolo quotidiano, un ruolo da “terrorista”; l’altro, per definizione secolare “un popolo senza terra”, sceglie la parte del “colonizzatore”. Lo scontro è inevitabile. La soluzione definitiva, remota.

Ma oggi questa guerra non ha né “colpevoli” né “innocenti”. È una guerra. E basta. E come ogni guerra comporta vittime, massacri, violenze, e non ha giustificazioni. È solo una tragedia che esige una risposta, una soluzione valida e, una volta per tutte, duratura. Non si tratta, qui, di cancellare in un soffio decenni di violenze, prevaricazioni e stragi reciproche di un popolo contro l’altro, di rimuovere il passato senza lasciargli possibilità di guidare le scelte del presente. C’è una “nazione palestinese” che non è solo una terra – ormai più che ridotta -, ma anche e soprattutto un’entità che si nutre del sogno di continuare ad esistere e di “arabità”. Quell’arabità che è sottomissione alla tradizione e rivendicazione di appartenenza alla comunità araba, unico vero rifugio dal mondo esterno. E c’è anche un popolo che, reduce dai crimini subiti in un passato ancora vicino nel ricordo, ha catalizzato le violenze e i soprusi di cui è stato vittima e ne ha fatto uno strumento per rivendicare, con la forza e col terrore, quei diritti mai avuti. La soluzione, è chiaro, non può essere – ancora una volta – prevaricazione, ma passa per il compromesso e il rispetto reciproco. Ma è proprio questo il problema. Così, mentre riprende il timore che il conflitto infiammi ulteriormente le tensioni di un medio-oriente diviso tra integralisti (spesso vicini alla causa palestinese per un senso di anti-occidentalismo e di solidarietà araba) e moderati, si moltiplicano, da ogni parte, gli appelli al cessate il fuoco e la diplomazia mondiale si impegna nell’elaborazione di una soluzione di pace. Nell’attesa, i rari momenti di tregua concessi e le scadenze elettorali ormai prossime in Israele, Palestina e Libano, lasciano intravedere, almeno ai più ottimisti, la possibilità di un cambiamento di rotta, uno spiraglio di speranza…

Francesca Licitra

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