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Italia mia benché…

Inizia un autunno turbolento, i parametri all’interno del nuovo anno scolastico, che  da giorni ci sono stati resi noti, ci lasciano inebetiti: riduzione eclatante del numero degli insegnanti nelle scuole, aumento degli alunni in ogni classe, riduzione non indifferente degli insegnanti di sostegno. Per non parlare poi dell’impossibilità, a partire da quest’anno, dei nuovi laureati ad accedere alle graduatorie  e alla futura abilitazione tramite le scuole di specializzazione. Inoltre: tagli nei fondi per la ricerca (in realtà già cominciati ma adesso rinforzati), propensione alla privatizzazione delle università. Se ci sia una logica  alla base del  cambiamento che il nuovo governo ha deciso di apportare non ci è dato sapere, la cosa che però ci è dato subire è la serie di effetti che da ciò ne deriverà. Innanzitutto pensiamo al taglio degli insegnanti di sostegno che rappresenta all’interno di questo nefasto programma legislativo il dato più allarmante. Cosa significa nei fatti ridurre la presenza di insegnanti di sostegno nelle varie scuole? Come si sa, fino ad alcuni anni fa, in ogni classe era possibile avere un solo alunno con problematiche  di apprendimento e/o di integrazione all’interno dell’ambito scolastico. Da poco è possibile, invece, trovarne anche tre. Tagliare un numero cospicuo di unità competenti nella gestione di tale disagio significa aumentare le difficoltà nel processo di relazione (didattica e umana) tra i vari soggetti che sono coinvolti in tale relazione (alunni diversamente abili, insegnanti, resto della classe). Il concetto di sostegno, in particolar modo, non va inteso solo in un’unica direzione, che sia solo quella del supporto per l’alunno fragile la cui famiglia ne ha fatto richiesta, ma anche in quella che riporta all’insegnante, che trova indispensabile  la presenza del collega ‘competente’ che lo coadiuvi nel seguire e formare tutti gli alunni componenti la classe. Da ciò scatta l’allarme, aggravato dai dati dell’ultimo sondaggio, realizzato da un istituto che si occupa di verificare il grado di istruzione del territorio, che indicano Catania come la città con maggior numero di analfabeti. In un’era avanzata come la nostra un dato del genere lascia sconvolti ed apre davanti al nostro giudizio scosso un ventaglio di riflessioni sulle sue possibili cause: se con le scelte fatte fino ad oggi non si è riusciti ad annientare  questo grave problema che rendeva insuperabile il muro di un inquieto passato, riuscirà a farlo il programma di un governo che prevede il taglio delle uniche risorse umane che ne potrebbero cancellare l’ombra asfissiante? Le prospettive non lasciano buoni auspici e spetta solo ai giovani di oggi sperimentare ciò che i giovani di un tempo, con sofferenza, hanno già appurato.

Sabina Corsaro