Pubblicato il: 13 Maggio, 2009

Jean M. G. Le Clèzio

le-clezioAutore di nuove partenze, dell’avventura poetica e dell’estasi sensuale, esploratore di un’umanità oltre e sottostante la civiltà imperante.” Queste le motivazioni per cui il Nobel per la letteratura 2008 è stato assegnato Jean M. G. Le Clèzio. Nato il 13 Aprile del 1940 a Nizza da una famiglia a lungo vissuta nelle Mauritius, all’età di 8 anni si trasferisce con la madre e il fratello in Nigeria, dove lavorava il padre, medico nell’esercito britannico. Durante il lungo viaggio verso l’Africa cominciò a scrivere e da allora non ha più smesso, pubblicando più di 30 libri. Poco conosciuto in Italia, tradotto solo da piccole case editrici, ha esordito presso il grande pubblico a soli 23 anni con l’opera “Le procès verbal“. Il successo arriva però definitivamente con “Desert” (1980), romanzo in cui Le Clèzio offre un’immagine del Nord Africa contrastante con l’idea che di quei luoghi aveva l’Europa del tempo. Negli anni settanta vive in America Centrale e, appassionatosi alla cultura degli indios, comincia a tradurre le opere principali di quella tradizione. La critica letteraria suole distinguere due periodi della sua produzione: il primo va dal 1963 al 1975 in cui le opere di Le Clèzio esplorano i temi della follia, della scrittura e del linguaggio; il secondo periodo comincia alla fine degli anni ’70 e ha come predominanti i temi dell’infanzia, del viaggio e della riscoperta dei miti familiari. A quest’ultimo momento appartiene “L’africain” (2004), storia autobiografica centrata sulla figura del padre. Le Clèzio, bambino di otto anni, racconta parte della sua infanzia trascorsa in Nigeria, dove respirava una “libertà totale del corpo e dello spirito“, dove la cosa che più l’aveva colpito era la violenza dei fenomeni naturali: temporali, vento, fulmini. Infine l’incontro con ” l’africano”, il padre che non aveva mai conosciuto, autoritario, incapace di gesti d’amore, indurito dai lunghi anni di solitudine a causa della guerra che l’aveva costretto lì, senza la sua famiglia. Ma il suo sguardo si posa anche su altri aspetti e parlando ancora del padre scrive “aveva già intravisto l’oblio strategico in cui le grandi potenze coloniali dimenticano un continente dopo averlo sfruttato. […] E le porte aperte all’immigrazione per servire da manodopera e popolare i ghetti di periferia; quelle stesse porte che saranno richiuse quando la crisi economica renderà le Nazioni industrializzate diffidenti e xenofobe“. Anche per questo scrivere diventa per lui un’impellente necessità: è un modo per agire e mettere in luce le brutture e le bellezze del mondo. In un francese scalzato dal piedistallo del purismo e contaminato con altri linguaggi,  Le Clèzio fa sì che lo scrittore diventi testimone e non più semplice spettatore, un creatore di pensieri e immagini. Nomade del mondo, convinto che scrivere è come viaggiare, con la sua opera è riuscito mettere in evidenza i profondi limiti della cultura occidentale.

Giuseppina Cuccia

Lascia un commento

Devi essere collegato to post comment.