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La morte degli artisti

La morte nobilita l’uomo, si suole, più o meno, dire. E quant’è vero questo assioma nel caso degli artisti! Elvis, John Lennon, Jim Morrison,  Kurt Cobain, Freddy Mercury…cos’hanno in comune? La bravura, la genialità, il carisma? Certamente, ma soprattutto l’essere tutti morti in circostanze non esattamente naturali. Per quanto possa essere valida la cinica frase “morire è stata la mossa più saggia per la sua carriera”, sicuramente dovevano avere ancora molto da dire al loro pubblico. Anzi, Cobain forse no. Nel suo testamento spirituale scritto prima di spararsi, quello con la famosa frase “è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”, diceva che per lui salire sul palco era ormai come timbrare il cartellino in ufficio, non c’era niente più che gli trasmettesse emozione. I più maligni dicono che Cobain si sia sparato quando si rese conto di essere un pessimo cantante e suonatore, ma anche senza arrivare a tali estremi è difficile credere che egli sia diventato il simbolo che è oggi solo grazie alle sue doti musicali. Altro personaggio morto assai giovane, Jim Morrison. The Lizard King era sempre stato attirato dalla morte, che lo affascinava come poche altre cose: “amico non lo so.  Potrebbe essere l’esperienza che ti fornisce il pezzo mancante del mosaico…“, diceva.  La trovò a ventisette anni, probabilmente per overdose. Una vita buttata al vento senza motivo, o l’unico modo per coronarla degnamente, questa vita? I posteri, pare abbiano dato ragione a quest’ultima ipotesi. John Lennon invece, è stato consegnato alla storia (ma ci sia permesso pensare che sarebbe stato uno dei pochi a non averne bisogno) in modo ancora più insensato. Ucciso a colpi di pistola, lui, il più grande sostenitore del pacifismo. Quarant’anni, e con la convinzione (la consapevolezza?) di essere più popolare di Gesù Cristo, ma con la convinzione, almeno da parte nostra, che avrebbe potuto dare ancora tanto. La malattia si è invece portata via quella che forse è la figura più carismatica del rock moderno, Freddy Mercury. Vita sregolata, feste, ritmi forsennati, non si fece mancare niente finché la sigla “HIV” entrò prepotentemente nella sua vita, quando già si era ritirato dalle scene (un uomo di 40 anni non può saltare con una calzamaglia addosso, diceva). Non si può dire molto di chi muore per malattia, non si può certo incolpare la sua bisessualità (come molti moralisti hanno certamente fatto), per cui l’unica cosa giusta da fare è ricordare la sua incredibile grinta sul palco e la sua voce, una delle più belle e potenti che si possano sentire. Elvis, il Re, morto per una forte aritmia cardiaca forse provocata dall’eccesso di certe sostanze, forse il più famoso di tutti i tempi. È bello, forse, credere alle leggende metropolitane, mai così numerose: magari non che Elvis Presley avesse origini aliene, ma che sia stato inserito in un programma di protezione testimoni dell’FBI e che ora venda panini a Monaco, in Germania…che male c’è a crederlo?

Tomas Mascali