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La politica non è finita

Nei paesi occidentali le distanze ideologiche tra i due principali partiti sono sempre meno marcate. Anche in Italia molti sostengono che Pd e Pdl siano schieramenti speculari e simili tra loro. In effetti, i due partiti che riscuotono i maggiori consensi si assomigliano sempre più su certi aspetti, ma rimangono molto distanti su tanti altri. Ciò che li accomuna più marcatamente è la continua ricerca del consenso; ormai la politica non è più innovatrice sul piano delle idee, ma rincorre l’opinione pubblica, cercando di capire in anticipo come questa si orienti e poi facendo a gara a chi prima e meglio possa offrirle quello che vuole. Vi è poi una similitudine su certe questioni programmatiche; l’età della tecnica, insieme allo svilimento del potere degli stati nazionali, richiede interventi simili in materia di attuazione delle direttive europee e di adeguamento delle decisioni ai nuovi mutamenti tecnologici. Tuttavia, sulla maggior parte dei temi Pd e Pdl si distinguono in modo evidente. Prima di tutto c’è da constatare l’abissale differenza per quanto riguarda il ruolo e la posizione attribuita al leader. Per il Pdl il leader Berlusconi è quasi un padrone, un capo “carismatico” la cui guida nessuno osa mettere in discussione, a grande discapito dei processi democratici interni al partito. Nel Pd la situazione è completamente opposta: il leader è solo un “primus inter pares”: assolve più la funzione di coordinamento che non quella di guida, viene periodicamente fagocitato e messo da parte dalla base del partito, non gode della stima incondizionata dei suoi sostenitori. Vi sono poi enormi differenze culturali e sociologiche, tra le quali almeno una merita di essere citata. Il partito di Berlusconi erge a leader l’arrivista, che dimostra il suo talento attraverso i soldi che è riuscito a guadagnare; una politica dell’immagine evidente, dove conta più l’apparire dell’essere, il potere rispetto ai principi, la ricchezza sulla forza morale. Il disvalore trionfa, l’ambizione sfrenata è premiata, la rettitudine non è condizione necessaria per la detenzione del potere. Secondo questa visione l’uomo forte o presunto tale, difenderà il paese e lo migliorerà, senza mettere davanti i propri infiniti interessi alle esigenze della popolazione. Il Pd è invece ancora legato alle idee, ai principi; i suoi leader hanno un tono più dimesso, più incline alla discussione che non agli slogan roboanti, pazientemente teso alla ricerca del vero, legato ancora ai valori della cultura e del rispetto. Gli esponenti del partito democratico perdono consensi anche perché non sono a loro agio in questo teatrino della politica, rappresentato dai mass media; non sono in grado di essere populisti e demagoghi, fomentando paure e presentandosi poi come coloro che saranno in grado di eliminarne le cause. Insomma, si sentono inadatti alla “società dello spettacolo”, della quale non condividono scopi, modi, idee.

Celentano Pierfrancesco