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La “Trilogia della villeggiatura”

Nella stagione di prosa 2008-2009 i palcoscenici d’Italia hanno ospitato uno spettacolo che presenta la firma congiunta di due grandi artisti, distanti dal punto di vista spazio-temporale ma accomunati dal talento. La “Trilogia della villeggiatura”, portata in teatro da Carlo Goldoni nel 1761 e suddivisa in tre commedie (le “Smanie per la villeggiatura”, le “Avventure della villeggiatura” e il “Ritorno dalla villeggiatura”), magistralmente riadattata in due ore e mezzo da Toni Servillo, il quale fonde le parti in una rappresentazione dinamica, brillante, mondana e finemente crudele, con ampio successo di pubblico. Goldoni ci porta a Livorno e descrive la società dell’epoca con la consueta profondità psicologica che come un sostrato nascosto affiora tra gli scambi di battute, gli intrecci narrativi, gli equivoci e le audacie sentimentali: c’è la borghesia, «rango civile, non nobile e non ricco», che spende e spande come fosse aristocrazia, poiché «l’ambizione de’ piccioli vuol figurare coi grandi»; ci sono i servitori pigri e i padroni frivoli, le giovani da marito e gli scrocconi compiacenti che arraffano con malcelata destrezza. Ma soprattutto c’è la villeggiatura, la vacanza annuale cui non si può rinunciare, pena l’emarginazione sociale. E per fortuna c’è Servillo, il quale con intuito e cultura ha capito che le parole di Goldoni, pur essendo perfettamente contestualizzate nel suo Settecento, possono oltrepassare i secoli e approdare fino a noi con incredibile attualità, mettendo in ridicolo la stravaganza, la superbia, la pochezza morale di determinate persone che di un innocente divertimento ne fanno un disordine. La villeggiatura rappresenta proprio la scomposizione della norma, la follia del denaro, l’annacquamento dei bisogni in capricci parassitari, le cui conseguenze non possono che configurarsi in un caos generalizzato da sciogliere. Le smanie sono quelle alla vigilia della partenza, suscitate dai corredi alla moda delle signore, in cui veniamo a conoscere i protagonisti: Giacinta, i suoi innamorati Leonardo e Guglielmo, la sorella del primo Vittoria, a sua volta invaghita del secondo, più i personaggi di contorno (tra cui Servillo nei panni dello scroccone Ferdinando). Le avventure acuiscono le situazioni già presentate sopra uno scenario di sprechi e dissipatezze, dove Gugliemo per trarsi d’impaccio dalla tresca con Giacinta chiede in sposa Vittoria; e infine il ritorno, la ricomposizione dell’assetto, in cui le promesse verranno onorate con le nozze sbilanciate tra Giacinta e Leonardo, Vittoria e Guglielmo. La parabola che si sviluppa dall’iniziale follia all’infelicità rassegnata della conclusione, trova degna espressione in un’ottima compagnia di attori, in un convicente adattamento dei dialoghi e in una magnifica scenografia che con pochi oggetti e fondali dà subito il colpo d’occhio dell’ambientazione. Splendori e miserie del teatro, in cui l’uomo sa di doversi specchiare.

Alice Briscese Coletti