Le barriere architettoniche: intervista alla Pedagogista Claudia Dell’Aquila
Claudia Dell’Aquila è una Pedagogista, attualmente collabora come educatore presso il centro diurno per disabili psichici del Dipartimento di Salute Mentale di Giarre.
1) Cosa vuol dire oggi fare la Pedagogista?
La società attuale, purtroppo, non valorizza l’azione educativo-pedagogica e non investe risorse e tempo a favore dei servizi educativi e sociali, basti pensare ai tagli all’istruzione e alla sanità. In un tale contesto di profonde trasformazioni e crisi di valori è difficile ritagliarsi un ruolo educativo, il Pedagogista ( cosi’ come gli insegnanti, gli assistenti sociali, i psicologi e quanti operano in contesti di educazione e riabilitazione) deve essere attento ai continui cambiamenti del contesto sociale e avere consapevolezza dei limiti e delle risorse presenti.
2) Quali sono le strutture che hanno più bisogno di questa figura professionale?
Nei vari settori della sanità, della scuola, della formazione e nel sociale. Le strutture in cui si opera sono molteplici, basti pensare alle comunità alloggio per minori disagiati o alle comunità terapeutiche e ai centri di riabilitazione per disabili mentali. Purtroppo esistono molte strutture in cui questa figura non è presente o altre in cui il pedagogista ( figura prevista per legge) invece di svolgere il ruolo educativo che gli compete è costretto, suo malgrado, a svolgere compiti di carattere burocratico e amministrativo.
3) In cosa è cambiata questa professione?
In passato venivano considerati solo i deficit dei soggetti con svantaggio o handicap e non le abilità, attualmente si ha bisogno di interventi pedagogici individualizzati che partono dalle risorse e dalle capacità di ogni singolo soggetto considerando la diversità come “ ricchezza”. In tale ottica si è resa necessaria una formazione post-universitaria e un continuo aggiornamento professionale. L’affermazione della figura del Pedagogista ha fatto notevoli passi in avanti, ma si è ancora lontani da un adeguato riconoscimento.
4) C’è una crisi anche nell’ambito pedagogico?
In ambito educativo e pedagogico la crisi è rappresentata dalla mancanza di modelli e punti di riferimento per bambini e adolescenti. Spesso i genitori sono troppo presi dal lavoro e delegano il proprio ruolo ad altre figure parentali creando confusione negli stili educativi, inoltre non bisogna sottovalutare i danni provocati da una televisione sempre piu’ diseducativa. Sarebbe opportuno realizzare corsi sulla funzione genitoriale per dare risposte concrete ai dubbi e ai bisogni delle famiglie.
5) Cosa vuol dire accostarsi a soggetti con difficoltà comunicative?
Mettersi nei panni dell’altro considerando i vissuti personali e basando l’intervento sulla relazione d’aiuto, una relazione clinica ossia individuale, attenta ai singoli casi che vengono apprezzati nella globalità delle loro manifestazioni. L’atteggiamento da adottare è di accoglienza, di interesse e considerazione nei confronti dell’utente realizzando un intervento diretto, immediato e centrato sul “ qui e ora”.
6) Quali sono gli strumenti innovativi di cui l’attuale pedagogia può vantarsi?
Gli strumenti propri della pedagogia sono l’osservazione pedagogica, la relazione clinica attenta alla singolarità degli utenti e al contesto, la progettazione di interventi individualizzati e di attività di gruppo volte alla rieducazione e alla riabilitazione.
7) In termini di strutture e supporti operativi, la Sicilia in che condizioni si trova?
La Sicilia mostra molte lacune rispetto alle regioni del Nord in termini di servizi agli utenti, c’è carenza di strutture adeguate, assenza di personale qualificato con adeguata formazione iniziale e in itinere, e soprattutto non è presente un valido “lavoro di rete” e quindi le istituzioni scolastiche e sociali non collaborano insieme alle famiglie per offrire interventi di sostegno e apportare cambiamenti alle situazioni di disagio.
8) Come si superano le barriere architettoniche?
Sicuramente con l’associazionismo, il singolo non è in grado da solo di far fronte agli innumerevoli ostacoli burocratici ed architettonici. Creare associazioni di famiglie, di utenti, etc , favorisce lo scambio di idee e la realizzazione di interventi a favore dei piu’ deboli e soprattutto rende “visibili” e “ conosciuti” i molteplici problemi legati alle situazioni di disagio.
9) Qual è la via più adeguata nella formazione scolastica dei soggetti fragili: l’integrazione in classi eterogenee o la specificità dei casi in istituti e classi?
La formazione scolastica deve avere il suo punto di forza in una reale integrazione scolastica, ogni bambino, anche se con problemi, ha il diritto allo studio e ad una partecipazione attiva alla vita scolastica. Oltre alla frequenza regolare della scuola, ovviamente con il supporto degli insegnanti della classe e dell’insegnante di sostegno, si rendono necessarie attività ludico-ricreative e di riabilitazione in istituti specifici in cui il soggetto possa occupare in modo produttivo il tempo libero e possa, attraverso programmi individualizzati, migliorare le proprie abilità e competenze.
10) Perché oggi si sceglie di fare il Pedagogista?
Penso che sia una professione, quella del Pedagogista, che non si sceglie ma che si vive. Sicuramente l’Università non offre la possibilità di conoscere la figura del Pedagogista e gli ambiti lavorativi in cui possa trovare una collocazione perché, purtroppo, l’istruzione è lontana dal mondo lavorativo reale. Mi sono trovata a vivere questa professione nelle tante esperienze lavorative e ho scelto non la professione ma piuttosto il modo di attuarla attraverso lo studio, la formazione continua, l’utilizzo degli strumenti pedagogici, e l’operare sul “campo”.
Sabina Corsaro
Sicuramente d’accordo con la dottoressa Claudia Dell’Aquila
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