Le streghe di Benevento: tra realtà e leggenda
“Unguento unguento, mandame alla noce de Benevento. Supra acqua et supra vento et supra omne maltempo.” Da qui, da queste parole inizia il nostro percorso a ritroso nel tempo. Sono le parole che le streghe pronunciavano al loro arrivo a Benevento, un luogo magico e splendido, circondato da numerose località, zona di antiche leggende e tradizioni. Leggende che i più anziani amano ancora raccontare a nipoti e conoscenti, quasi a voler conservare il fascino e il mistero che avvolge questa storia. Passeggiando per la città, trovo due signori disposti a raccontarmi nei dettagli i passaggi storici di questa leggenda: il signor Antonio e il signor Vincenzo, due anziani signori che si divertono a rendermi noto qualche episodio particolare. Ai libri e ai manoscritti, preferisco il loro racconto, che darà quel tocco giusto di invenzione e di genuinità. La storia nasce intorno ad un antico noce, posto sulle sponde del fiume Sabato. Qui, nelle notti tra il venerdì e il sabato, si radunavano le janare, streghe dalle cattive intenzioni che giravano nei dintorni con l’obiettivo di diffondere tristezza e fare dispetti di ogni genere. Di giorno le janare erano semplici donne, alcune di esse erano anche sposate e avevano dei figli. Ma nelle notti di luna piena e ogni sabato si trasformavano, segnando il loro passaggio con filtri magici che potevano colpire chiunque. Anche gli animali! Racconta il signor Vincenzo che, una trentina di anni fa, trovò il suo cavallo agonizzante nella stalla, molto sudato e con la criniera intrecciata. Secondo lui, era stata la janara a cavalcarlo per tutta la notte, fino a farlo morire per una crisi cardiaca, per punire la sua famiglia. In realtà, ci sono tanti episodi simili nel circondario beneventano. Si dice addirittura che nella provincia ci fosse una scuola di streghe. La chiave per accedere a questa scuola era la capacità di volare sopra i tetti o di riuscire a far impazzire i bambini oppure rovinare la gravidanza alle giovani donne. Ma come si diventa janara? “Janara si nasce, non si diventa” ammonisce il sig. Antonio. Qualsiasi donna, infatti, che veniva alla luce nella notte di Natale era destinata a diventare una janara. Come ci si difendeva? Innanzitutto era assolutamente proibito pronunciare il loro nome. Poi se ci si accorgeva improvvisamente di essere “in compagnia” di una janara, bisognava incrociare le gambe e dire: “Oggi è sabato a casa mia” oppure bisognava prenderla per i capelli e dire: “Tengo ferro”. Inoltre, era usanza di molti mettere dietro le porte scope o sacchi di sale, in modo che se qualche janara fosse entrata in casa, prima di agire, doveva contare tutti i granelli di sale, oppure tutte le fibre delle scope. Questo serviva a far distrarre la janara fino all’alba, momento in cui perdevano potere. Inoltre, chi era curioso di vedere una janara poteva farlo nella notte della festa di San Giovanni: bastava mettersi sui “crocicchi” (dei luoghi angusti) e appoggiare il mento su una forca. Sicuramente, questo è uno di quei casi in cui la realtà si confonde con le credenze e le dicerie popolari. Credenze e dicerie che nel corso del tempo si sono arricchite di particolari diversi che spesso hanno finito per stravolgere l’identità storico-culturale della leggenda stessa. Ma va ricordato, che a margine di ogni leggenda c’è un fondo di verità.
Massimiliano Mogavero