Pubblicato il: 1 Febbraio, 2012

Legalità: fino a che punto è possibile?

diseguaglianza“Fino a che punto è possibile vivere onestamente?” è probabilmente questa la domanda che si stanno ponendo milioni di “nuovi poveri” italiani. Persone ben lontane dai grandi boss della mafia o dai plurimilionari che evadono le tasse per avarizia: semplicemente, cittadini comuni che cercano di condurre una vita dignitosa anche quando i tempi sono di vacche magre. E se da un lato lo stato ci mostra spot pubblicitari dove gli evasori sono ritratti come “parassiti della società” e mostri del benessere pubblico, dall’altro c’è la quotidianità di ognuno di noi: per chi a fine mese arranca, non pagare l’IVA rappresenta la possibilità di saltare uno scoglio non indifferente, se consideriamo che per la maggior parte dei prodotti acquistati ben il 20% del prezzo va nelle casse dello stato. Non fraintendiamoci: evadere è indubbiamente un reato. Ma bisogna anche mettersi nei panni degli italiani: la legalità è uno stile di vita fondato, più che sul portafoglio, su un insieme di valori e di stili di vita radicati (più o meno in profondità) dentro a tutti noi. Legalità significa rispettare le leggi, lo stato che le promuove e l’organo che le ha scritte ed approvate. Ma parliamoci chiaro: com’è possibile rispettare la legge di uno stato e di una classe politica che non rispetta il cittadino? Come può l’italiano medio pagare le tasse e rispettare le leggi con serenità se si sente “preso per i fondelli” dallo stato? La “casta” della nostra classe politica spende, spande e guadagna senza doverci nulla: dalle auto blu ai pasti, noi italiani abbiamo smesso di sentirci cittadini, ma solo persone un po’ meno furbe che non solo non hanno creato la crisi in cui sono immersi, ma che si ritrovano addossati sulle proprie spalle il peso di uno stato intero. Quasi ci viene da ridere, a pensare che la costituzione parla di “sovranità popolare”: abbiamo eletto una classe politica che dice una cosa e poi ne fa un’altra, si crea le proprie leggi “ad personam” per proteggersi e che infine, quando c’è stato bisogno di usare le maniere forti, ha preferito ritirarsi in favore di un governo tecnico voluto dall’ “elitè parlamentare” per proteggere la propria immagine davanti ai cittadini. Insomma, il potere sarà anche di tutti, ma sembra proprio che qualcuno abbia deciso per noi. E poi, noi stessi italiani dopo 150 anni non ci sentiamo ancora uniti: disomogenei e diversi, non riusciamo ancora a sentirci fratelli. Per questo la classe politica dovrebbe avere anche il compito di tentare di unirci sotto un’unica ideologia: al contrario, si barrica dietro ai propri privilegi, aumentando il divario tra stato reale e legale. Ciò che bisognerebbe fare è, prima di pretendere sempre più da cittadini già spremuti fino all’osso, cercare di guadagnarsene la stima: ognuno di noi sarebbe più bendisposto nel rispettare le norme, ed anzi, considererebbe questo come una vera e propria priorità se si sentisse veramente protetto, tutelato ed ascoltato da uno stato che sente meritevole della sua fiducia.

Sara Servadei

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