Librino aspetta la sua ‘Porta della felicità’
La “Porta della Bellezza”taglia il quartiere di Librino, attraversando il muro dell’Asse dei servizi, al bivio tra il Villaggio Sant’Agata e il quartiere S. Giorgio. La raggiungiamo in un pomeriggio assolato, a poco più di un mese dalla sua inaugurazione. La mattina del 15 maggio erano qui l’intero quartiere e simbolicamente la città, con la presenza delle autorità civili e religiose. C’era Antonio Presti, mecenate d’artisti e presidente della Fondazione che ha voluto e finanziato il progetto. C’erano il sindaco Raffaele Stancanelli e soprattutto gli alunni e le loro famiglie. Protagonisti dell’evento sono stati questi duemila ragazzi degli istituti e degli oratori di Librino: sono loro gli autori delle novemila forme in terracotta che compongono le tredici opere monumentali, accompagnate da dodici brani poetici, e tutte incentrate sul tema della “Grande Madre”. Oggi “La Porta della Bellezza” è ancora lì, su questo cavalcavia un po’ fuori mano, tra le auto che passano incuranti. I lotti popolari sono distanti, vi si arriva in auto o andando a piedi per lungo tratto, come la gente del posto è abituata a fare. Leggiamo le citazioni di Dante, Luzi e Dickinson, di Caproni e Goethe, di Wilde, Leopardi e Gibran. Chissà quanti di questi ragazzi e ragazze si fermeranno a leggerle. Non possiamo fare a meno di chiederci se simili installazioni sarebbero state apprezzate e rispettate nel Centro storico. Immaginiamo che, se fosse stata realizzata nei ‘quartieri alti’, oggi la “Porta della Bellezza” apparirebbe già violata e imbrattata dai ‘graffitari’. Qui è integra. Librino ha quasi centomila abitanti, a fronte dei trecentocinquantamila del Comune etneo. Kenzo Tange, il progettista giapponese che trent’anni fa l’ha ideata, pensava a una nuova città, a una “città satellite”, non a un quartiere marginale e degradato. Aveva visto giusto, perché qui ci sono vasti spazi ancora inutilizzati e aree verdi, ai margini dei viali che costeggiano i palazzi. In queste terre a sud-ovest, poteva espandersi l’area metropolitana di Catania, e non nell’ormai congestionato hinterland di nord- est. La città avrebbe potuto trovarvi la sua nuova vocazione economica, all’incrocio tra l’Aeroporto di Fontanarossa, la Zona industriale e il Porto. Invece, si è scelto di fare del quartiere un’enorme terra d’abusivismo: l’obiettivo era scambiare assegnazioni d’alloggi popolari ed esenzioni d’imposte, giustificate dalle mancate erogazioni di servizi elementari, con voti e appoggi clientelari. Non è Tange il responsabile di questo sfacelo urbanistico, ma una classe politico-amministrativa che ha deciso di fondare le proprie fortune elettorali sulla negazione dei diritti di un terzo della cittadinanza catanese. Basterebbe realizzare nel quartiere centri ricreativi, biblioteche, cinema e giardini pubblici. Perché non dotarlo di un’amministrazione autonoma, magari approfittandone per realizzare un vero decentramento per l’intero Comune? Gli “autonomisti” lo spieghino.
Enrico Sciuto