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L’importante è partecipare, intervista a Gioacchino Palumbo

Proprio cosi, l’importante è partecipare per capire profondamente. Capire, cosa? Vi scrivo, cari lettori, con ancora in mente e in corpo l’entusiasmo scaturito dall’ “ordine” di Gioacchino Palumbo non appena la nostra intervista ha avuto termine: “Di solito non  accetto osservatori  mentre lavoriamo, quindi se vuole restare, dovrà partecipare”.  Non mi sono certo tirata indietro, ma non mi aspettavo davvero di esser coinvolta in un’esperienza cosi travolgente. Il laboratorio di Teatro Molo 2 ha circa quindici partecipanti quest’anno ed io ne ho fatto parte per una sera. Abbiamo composto un cerchio e in un susseguirsi di esercizi vocali e di movimento, siamo riusciti, insieme, a scioglierci i muscoli, la voce, la fantasia, le sensazioni fisiche, mentali ed emozionali, riuscendo in poco tempo a percepire tante piccole grandi cose che fino ad un attimo prima erano sconosciute.

Come nasce Molo 2, qual è la sua storia nata ventotto anni fa?

Il progetto è cominciato a Firenze, per iniziativa di un piccolo gruppo di persone; in  seguito abbiamo deciso di stabilire la sede proprio a Catania.  Abbiamo quindi intrapreso un percorso teatrale che prevede, oltre alla produzione di spettacoli teatrali professionali, anche laboratori annuali di recitazione con spettacolo conclusivo annesso.

Chi partecipa a questo laboratorio? Com’è organizzato?

L’età va dai diciotto ai novant’anni, non ci sono limiti anche se a volte hanno partecipato ragazzi più giovani. Comunque la maggior parte dei partecipanti ha un’età tra i 18 e i 30 anni. Il laboratorio è concepito per un arco di tempo annuale, ma alcuni decidono di farlo per 3, 4 anni. La prima parte di laboratorio prevede lo studio di varie tecniche di voce e di movimento e il lavoro esperienziale su testi teatrali di diverso genere, sia tragici che comici. La seconda parte del laboratorio è dedicata alla preparazione dello spettacolo. Dopo aver scelto l’opera da rappresentare, del suo autore leggiamo vari testi per conoscerlo e comprenderlo bene. Per lo spettacolo dell’anno scorso, ad esempio, (I Giusti di Albert Camus) abbiamo letto altri testi dell’autore. Lavoriamo molto poco a tavolino, i nostri laboratori sono all’insegna dell’esperienza, della pratica. Molo 2 ha formato anche attori professionisti che adesso sono abbastanza conosciuti, per esempio Donatella Finocchiaro e Giovanni Calcagno.

Il corso di quest’anno prevede lo studio di testi shakespeariani …

Ancora non sappiamo se lo spettacolo di fine anno sarà basato su un’opera di Shakespeare, ma ci sono tanti suoi testi che mi tentano; i classici mi piacciono moltissimo anche se iper frequentati: Amleto, Otello, Re Lear e tra le commedie La dodicesima notte e Sogno di una notte di mezza estate. Prima di iniziare il lavoro vero e proprio e prima di scegliere l’opera da rappresentare, devo conoscere bene il gruppo e i gusti di ogni suo membro, anche se la decisione ultima è mia.

La recitazione drammatica di personaggi complessi di opere altrettanto complesse, è molto difficile per attori principianti? Come riesce ad arrivare al risultato finale (che con i Giusti di Camus abbiamo visto essere notevole)?

Credo che una persona che voglia imparare, si debba cimentare anche e soprattutto in testi impegnativi e al di sopra delle proprie capacità per ottenere qualcosa. Inoltre dobbiamo pensare che molti attori professionisti sono costretti per anni a fare “particine”, quindi è importante che un’esperienza pedagogica dia la possibilità di vivere un’esperienza più profonda. Penso anche che i metodi che uso ( quello di Grotowski e quello di Stanislavskij) siano molto appropriati per far venire alla luce le capacità individuali di espressività drammatica, elementi fondamentali dell’arte della recitazione. Questi metodi consistono in un lavoro di introspezione ed interiorizzazione degli stati d’animo del personaggio, che naturalmente và coniugato con una buona  padronanza tecnica. Bisogna vivere il personaggio tenendo conto della vita che conduce e del contesto in cui si trova e al tempo stesso impratichirsi con l’ articolazione del suono e una buona dizione.

Secondo lei, il cinema e il teatro possono cambiare la realtà?

È una domanda impegnativa che mi pongo quasi tutti i giorni. Io penso di si, possono cambiare la realtà. Quando ero più giovane pensavo che potessero cambiare la realtà in modo più incisivo, oggi mi rendo conto che le mutazioni antropologiche sono molto lente, questo comunque non significa che non si debba continuare a crederci. Cinema e teatro hanno una capacità di penetrazione della realtà, diversa. Il cinema ha un potere più grande, per ovvi motivi; ha mezzi più ricchi. Pensiamo ai film Gomorra e I cento passi; la storia di Peppino Impastato era conosciuta da pochissime persone, grazie al film è diventata nota e ha sensibilizzato molte persone: si formano cosi associazioni anti racket e anti mafia che di certo non eliminano le corruzioni politiche o le mafie di sempre, ma sono delle cellule di consapevolezza che creano altre cellule. Il teatro ha una minore capacità di impatto e di diffusione in termini quantitativi, ma forse ne ha di più in termini qualitativi proprio perché la presenza fisica dell’attore crea un legame molto forte con lo spettatore.

I ragazzi frequentano poco i teatri, a cosa è dovuto secondo lei?

La colpa non è loro, ma dei teatranti, delle istituzioni, degli enti culturali e dei cartelloni. Certo, i ragazzi sono anche prevenuti, vanno più al cinema e leggono poco, ma da ragazzo anche io non andavo a teatro. Amavo molto il cinema e la prima volta che ho assistito uno spettacolo di teatro mi è piaciuto profondamente avevo 20 anni. Vidi uno spettacolo di Grotowski, che fu poi mio maestro, (mi ritengo molto fortunato per questo, oggi è molto difficile avere un rapporto cosi diretto e personale con un regista di questo livello). Andai a vedere quello spettacolo solo per la curiosità di sapere come questo regista polacco, di cui avevo sentito parlare, utilizzasse tecniche orientali (di respiro e di altro genere) all’interno di un teatro, perché anche io mi occupavo di discipline orientali. Rimasi cosi colpito da quello spettacolo che da quel momento nacque un legame indissolubile. Tutto dipende da cosa si incontra, io allora avevo l’idea che il  teatro fosse un ambito un po’ paludato, troppo colto, borghese e noioso; ma grazie a quello spettacolo compresi che esiste anche un teatro molto forte e rivoluzionario.

La televisione di oggi, cosa ne pensa?

È terribile. Salvo Rai 3 non c’è altro per me. Artè è una tv molto interessante in cui si parla di cultura e di arte, ma … è in francese! La televisione ha un potere molto forte sulle persone, ma anche questo gruppo, il gruppo di Molo 2 è una piccola cellula di resistenza a questo dominio imperante.

Ultima domanda per un’appassionata di Quentin Tarantino? Lo conosce? Ha visto il suo ultimo film? Secondo lei è lecito modificare la Storia?

Ho visto Pulp Fiction e qualche altro film. Quest’ultimo so che è molto bello e andrò a vederlo, è girato in Francia. Io penso che sia assolutamente lecito cambiare la Storia per fini artistici, basta dichiararlo, un film è quasi sempre una combinazione di invenzione poetica e di aderenza alla realtà.

Elena Minissale