Mario Francese
Pochi forse si ricordano ancora oggi, a distanza di trent’anni esatti dalla sua morte, di Mario Francese. Ucciso dalla mafia il 26 gennaio 1979 a Palermo, sotto il portone di casa mentre rientrava dopo una giornata di lavoro, Mario Francese era un giornalista e cronista. Nato a Siracusa il 6 febbraio 1925 iniziò come telescrivente per l’ANSA e successivamente scrisse per “La Sicilia” di Catania. Nel frattempo venne assunto dalla Regione Sicilia, ma non abbandonò mai la sua passione di sempre, il giornalismo, e cominciò a collaborare, alla fine degli anni ’50, con il “Giornale di Sicilia” di Palermo. Qui diventerà presto una delle firme più apprezzate e uno dei cronisti più coraggiosi, esperto conoscitore delle vicende mafiose in un periodo in cui questa appariva come una nebulosa impercettibile. Intuì prima di altri la pericolosità dei boss corleonesi, Totò Riina e Luciano Liggio e smascherò, grazie alle sue inchieste, le connivenze tra politica, appalti e criminalità. Dopo il terremoto del Belice del 1968 scoprì che la mafia interveniva nella ricostruzione di qualunque cosa, persino delle baracche. Anche la costruzione dell’opera più costosa, la diga Garcia, fu monopolizzata dai mafiosi che in quegli anni continuavano ad arricchirsi, oltre che col traffico di droga, con gli ingenti aiuti della Cassa per il Mezzogiorno. Insomma un personaggio scomodo. Prima di morire Francese aspettava la pubblicazione di un dossier su mafia e appalti, pubblicazione ritardata per ovvi motivi, di cui il giornalista si doleva con diversi colleghi. Per vent’anni il suo omicidio rimase nel dimenticatoio e l’inchiesta archiviata. Solo nel 2001 verranno condannati a trent’anni Totò Riina e gli altri boss della “cupola”. La corte d’assise d’appello motivò in questo modo la sentenza: “Il movente del delitto è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni settanta“. Venne così eliminato uno dei giornalisti più lucidi, sordo a qualsiasi condizionamento, privo di compiacimento nei confronti dei vari gruppi politici e il suo omicidio doveva servire, nelle scellerate menti mafiose, da esempio per chiunque avesse provato a imitarlo. Dopo la morte dolosa di Francese ne seguirono in quell’anno altre, tra cui quella del segretario provinciale della Dc Michele Reina, del capo della squadra mobile Boris Giuliano e del giudice Cesare Terranova. Dopo questa mattanza la linea editoriale del “Giornale di Sicilia” cambiò e da quel momento il quotidiano più letto della Sicilia occidentale divenne uno dei maggiori oppositori dei giudici del pool antimafia definendoli “sceriffi” e attaccandoli giornalmente. Chissà cosa scriverebbe oggi Francese sulla situazione del giornalismo italiano. Forse la sua spietata ricerca della verità farebbe ancora una volta arrabbiare qualcuno.
Giuseppina Cuccia