Maugham e Crowley: l’occulto si fa narrazione
Non esiste al mondo romanziere più gentiluomo di William Somerset Maugham. Nato a Parigi nel 1874, allevato in Inghilterra dallo zio, pastore protestante freddo e crudele, studia letteratura e filosofia in Germania, per poi iscriversi alla facoltà di medicina e guadagnarsi una professione; frequenta il tirocinio ospedaliero a Londra, dove entra in contatto con lo squallore dei bassifondi finché, una volta laureatosi, molla tutto per dedicarsi alla vocazione letteraria. Ancora Parigi dunque, cenacolo artistico per antonomasia e luogo di culto nella formazione giovanile. Ed è presso Le Chat Blanc in rue d’Odessa, intorno al 1906, che avviene l’incontro con un certo Aleister Crowley, grasso e abile ciarlatano dalla conversazione brillante, alpinista, spaccone, prolisso imitatore di versi altrui, con viziosi occhi capaci di guardare oltre, che ricorre all’occultismo godendo del fermento maniacale sbocciato a Parigi in seguito alla pubblicazione del saggio di Huysmans Là bas (1891), testo che contiene la più famosa descrizione letteraria di una messa nera, modello per satanisti in carne e ossa del Novecento. Maugham prova per Crowley un’immediata antipatia mista a ripulsa, ma ciononostante è a lui che pensa quando crea il personaggio di Oliver Haddo nel romanzo The Magician (1908): ingigantito, distorto, reso più spietato e terribile, dotato di poteri magici vantati da Crowley ma mai posseduti, quest’ultimo si riconosce nel ritratto tanto da scrivere la recensione del libro tra le pagine di Vanity Fair, firmandosi proprio “Oliver Haddo” e stilando una lunga serie di enfatici improperi; ma non finisce qui: nelle sue Confessions dichiara che le battute attribuite al protagonista sono farina del suo sacco e in Magick (1929), in cui espone la magia cerimoniale dell’ordine iniziatico della Golden Dawn, egli chiama il libro di Maugham «un divertente pasticcio di materiale rubato». La schermaglia tra i due, il grande romanziere raffinato e l’occultista dello scandalo, deve aver animato non poco la vita mondana dell’epoca! Il Mago si configura come un testo molto differente rispetto agli altri dello stesso autore; arguto, cinico, impeccabile, organizzato al solito, in questa sede Maugham naviga in acque sconosciute e per restarvi a galla spulcia tutto il materiale sulla magia che riesce a scovare nella biblioteca del British Museum. Lo stile che si afferma prepotentemente è, per sua stessa ammissione, «esuberante e gonfio, ma non inadatto all’argomento», incentrato sulla discesa agli Inferi di una giovane donna, Margaret, promessa sposa di un medico che abbandona per scappare con Haddo e cadere là bas, nell’abisso, sotto il suo giogo. La trasfigurazione della vita in arte, la rielaborazione dell’esperienza come imperativo categorico, la presa a prestito delle persone reali, caratterizzeranno sempre la produzione dello scrittore, facendo del topos della fuga dalla società un cavallo di battaglia multiforme e variegato. E che cos’è la magia della letteratura, misteriosa e benevola, se non la scoperta di mondi altri in cui perdersi con curiosità e saggezza?
Alice Briscese Coletti