Medea al Teatro greco di Siracusa
Nelle bianche e splendide “poltrone” di pietra del Teatro greco di Siracusa, si attende il calar del sole per dare inizio ad una magia che da millenni va in scena. Per la precisione, Medea fu rappresentata nel primo anno della ottantasettesima Olimpiade, cioè nel 431 a. C. alle Grandi Dionisie. Oggi il mondo è cambiato, Euripide non è tra i vivi, ma il rito delle tragedie classiche, questa calda tradizione, continua a dilettarci nei mesi di maggio e giugno. La rappresentazione di Medea, è stata davvero sublime: la scenografia imponente e semplice, i costumi delicati e consoni alla tragedia, i gesti, i canti, i monologhi solenni. Elisabetta Pozzi (Medea) ha interpretato il suo personaggio con una passione, una naturalezza ed una disperazione che hanno coinvolto l’intero pubblico. La tragedia è una delle più celebri di Euripide e narra la vicenda di Medea (colei che viveva in una terra di barbari e che aiutò Giasone ad impadronirsi del vello d’oro rinnegando la famiglia e fuggendo con lui, per amore), che tradita dal suo sposo Giasone vuole vendicarsi. Giasone sta per sposare la figlia di Creonte, re di Corinto, e Medea in preda alla rabbia più feroce trama contro il traditore i più crudeli propositi. Il Coro è messo a parte di tutti i turbamenti della donna e del piano tremendo che intende attuare con qualsiasi mezzo e così tenta di far desistere la regina destinata ad un doloroso destino e all’esilio (voluto da Creonte che teme le sue minacce). Ma l’esodo vedrà il trionfo della vendetta di Medea che, nonostante il trasferimento in terra civile e straniera, non è riuscita a mondare la sua origine barbara: infatti la donna ucciderà i suoi figli, nati dal seme di Giasone, per dare l’estremo dolore a quest’ultimo, ma condannandosi ella stessa ad un destino di sofferenza. La tragedia mette in risalto una straordinaria e maledetta figura femminile che, per quanto degenerata ed estrema, suscita ancora vibrazioni forti nell’animo. Si può biasimare la rabbia di una donna sola, tradita e debole? Solo una funesta vendetta può dare giustizia al tradimento?
Elena Minissale