Pubblicato il: 9 Febbraio, 2010

Morte di una lingua millenaria

Il valore della biodiversità è recentemente aumentato nella percezione dell’uomo moderno, colpevole per decenni di un incomprensibile menefreghismo. Una crescente attenzione che tuttavia non basta a scongiurare eventi funesti. L’avvento di febbraio, infatti, porta con sé la notizia della morte di una lingua esistente da più di 65.000 anni: il ‘bo’. E’ scomparsa assieme alla sua ultima conoscitrice, deceduta all’età di ottantacinque anni nell’arcipelago delle Andamane, nel Golfo del Bengala. Boa Sr – questo il nome della donna – era l’ultima rappresentante del popolo dei Grandi Andamanesi a conoscere l’antico idioma, uno dei dieci già parlati per consuetudine da questa storica etnia. A lei sopravvivono poco più di cinquanta nativi, tutti incapaci di esprimersi secondo i canoni tradizionali. Un’eventualità impensabile nel 1858, anno in cui ebbe inizio il processo di colonizzazione britannica delle isole, quando gli autoctoni erano almeno 5.000. La realtà tuttavia ha superato l’immaginazione, così ad accennare il ‘bo’ rimangono attualmente pochi linguisti. Fra loro Anvita Abbi, commosso nel ricordare l’anziana: “Boa Sr aveva un grande senso dell’umorismo; il suo sorriso e la sua risata fragorosa erano contagiosi. Era sopravvissuta allo tsunami del 2004, ma da quando era rimasta l’unica a parlare il ‘bo’ si sentiva molto sola, perché non aveva nessuno con cui conversare”. Adesso la preoccupazione si sposta dalla lingua all’etnia, poiché fra i discendenti della donna – che dipendono in gran parte dal governo indiano per il cibo e le case – è assai diffuso l’alcolismo, ennesima piaga portata dall’uomo “civilizzato”. A tal proposito è eloquente il commento di Stephen Corry, Direttore Generale di Survival International, movimento per la tutela dei popoli indigeni: “i Grandi Andamanesi sono stati prima massacrati, poi quasi tutti spazzati via da politiche paternalistiche che li hanno condannati a malattie epidemiche e li hanno derubati della loro terra e della loro indipendenza”. Parole che suonano come uno schiaffo a quanti non si curano del patrimonio mondiale di diversità.


Andrea Bonfiglio

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