Nato in laboratorio il pomodoro che non marcisce
Potrebbero arrivare a breve sui banchi ortofrutticoli dei mercati rionali, nei grandi supermercati e nelle piccole botteghe di quartiere i pomodori a “lunga conservazione”. Grazie ad una scoperta di Asis Datta, ricercatore del National Institute of Plant Genome Research di Nuova Delhi, questi ortaggi possono rimanere freschi e sodi come appena colti per quarantacinque giorni. E’ sufficiente, infatti, togliere al DNA della pianta i due geni responsabili della maturazione, ovvero gli enzimi alfa-mannosidasi (alfa-Man) e beta-D-N-acetilesosaminidasi (beta-Hex), ritardandone così il processo fino a sei settimane. A riportare la sensazionale notizia è la rivista dell’Accademia Americana delle Scienze ‘PNAS’, responsabile di un dilagante entusiasmo fra gli addetti del comparto agroalimentare, coltivatori in primis. La rapida maturazione dei pomodori, difatti, è per i produttori un grosso problema, giacché rappresenta una delle cause primarie che portano alla perdita di circa il 40% del raccolto. Considerando che la maturazione tradizionale del prodotto si verifica in 15 giorni è facilmente comprensibile come ne sia possibile il deperimento durante le varie tappe della filiera: accade pertanto che una volta giunti sugli scaffali dei rivenditori i pomodori si presentino mollicci e incappino nell’implacabile bocciatura della clientela. Questa nuova scoperta di ingegneria genetica – potenzialmente estendibile anche alla frutta – rischia così di rivoluzionare il mercato, suscitando al contempo apprensione fra i consumatori, preoccupati delle possibili ripercussioni degli OGM sulla propria salute. In mancanza di dati certi sugli effetti derivanti dal consumo di alimenti geneticamente modificati nel lungo periodo, agli utenti finali non resta che appellarsi alla speranza.
Andrea Bonfiglio