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Non fermarsi col semaforo rosso e provocare la morte di una persona, è omicidio volontario

Così ha statuito  la  suprema corte di cassazione,  che recentemente si è occupata del caso della morte di una persona a seguito di un incidente occorso per la  violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Si trattava di un incidente provocato da un cittadino straniero che, per sfuggire ad un inseguimento di una pattuglia della polizia,  alla guida di un furgone non si era fermato ad un incrocio nonostante il semaforo segnasse il colore rosso, mentre nello stesso tempo l’incrocio veniva attraversato regolarmente da altra autovettura. Il fatto è accaduto a Roma ad un incrocio sulla via Nomentana il 18 luglio 2008 verso la mezzanotte con condizioni di traffico ancora intense, dato il periodo estivo. L’automobilista responsabile del fatto, in primo grado era stato condannato a 16 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale, in quanto secondo i giudici della corte d’assise di Roma, l’imputato si era rappresentato che il suo comportamento di guida poteva cagionare un incidente anche con esiti mortali, ma aveva accettato il rischio della sua verificazione. La corte d’assise di appello della capitale il 18 marzo 2010, all’esito del giudizio di appello aveva ridotto la pena a sei anni e sei mesi di carcere, riqualificando il fatto  come omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento (artt. 589 e 61 comma 1° n. 3 del codice penale). La sentenza della corte d’assise d’appello, è stata giustamente impugnata con ricorso in Cassazione oltre che dalla difesa dell’imputato, anche  dal procuratore generale di Roma, sottolineando che il fatto andava inquadrato nella fattispecie  dell’omicidio volontario, perché il comportamento dell’automobilista caratterizzato  “dall’elevatissima velocità” durante le ore notturne, paragonabile ad un “proiettile”, e l’assenza di tracce di frenata, “era univocamente espressivo di una volontà tenacemente protesa alla fuga che, pur nella previsione dell’evento, ne aveva accettato il rischio nella prospettiva dell’impunita’”. Anche la parte civile interveniva nel giudizio davanti alla suprema corte, depositando una memoria concludendo che le circostanze di fatto erano univocamente indicative della sussistenza degli elementi costitutivi del dolo eventuale. La prima sezione penale della corte di cassazione, con la sentenza n. 10411 del 01 febbraio 2011, depositata il 15 marzo 2011,  ha accolto il ricorso del procuratore generale di Roma, ritenendolo fondato ed ha annullato la sentenza del 18 marzo 2010  con rinvio ad altra sezione della corte d’assise d’appello di Roma per un nuovo giudizio. Il giudice del rinvio secondo la sentenza della suprema corte dovrà procedere ad una nuova riqualificazione del fatto e rivedere il  trattamento sanzionatorio.

Angelo RUBERTO
(avvocato del foro di LUCERA)