Obesi o colpevoli?
“[…]Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;[…]
[…]Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.[…]
[…]Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.[…]”
Dante li puniva così, nel XIV secolo: il fiorentino Ciacco che egli incontra nel sesto canto della divina commedia è intrappolato per l’eternità nel terzo cerchio dell’inferno dove è condannato a scontare il peccato della gola, colpevole per essersi lasciato andare al più elementare dei piaceri. Se lo sfortunato goloso fosse vissuto oggi e si fosse rivolto al CIDO (Comitato Italiano per i Diritti delle persone Obese o con disturbi alimentari), sicuramente qualcuno gli avrebbe detto che: “non sei un numero sulla bilancia, non sei una taglia, sei una persona con un problema di salute e hai diritto ad essere curata e rispettata”. L’esempio di Dante porta infatti alla luce quanto sia radicata nel tempo la discriminazione nei confronti degli obesi: verso di essi non si ha nemmeno il riguardo che si tiene invece nei confronti di chi soffre di altre tipologie di handicap fisico, perché essi sono visti come coloro che “se la sono cercata”. Spesso in realtà dietro ai chili di troppo si nascondono problemi di natura psicologica: mentre le cause prime che scatenano il rapporto sbagliato con il cibo possono variare molto, non c’è dubbio sul fatto che la cronicizzazione di questo atteggiamento sia dovuta ad una vera e propria dipendenza dal cibo, del tutto simile a quella che può scatenarsi nei confronti dell’assunzione di sostanze stupefacenti o di alcolici. Anzi, per essere precisi questo tipo di problema è ancora più difficile da sradicare rispetto alle altre tipologie citate: infatti per annullare una situazione di tossicodipendenza basta smettere di assumere droga, mentre non possiamo cessare totalmente di ingerire gli alimenti. Forse anche Ciacco ha sofferto del meccanismo della “Dieta di Bennet”: si sarà messo a dieta nutrendosi in maniera eccessivamente ridotta, con l’idea di dimagrire velocemente, ma poi la quantità troppo scarsa di cibo ingerito lo avrà portato a desiderarlo sempre più ardentemente: alla fine avrà trasgredito ed assunto una quantità esagerata di alimenti visti come valvola di sfogo, rifugio e sostanza che allevia le sofferenze (spesso causate dalla discriminazione). Non a caso uno studio pubblicato dalla rivista Social Psychology Quarterly che esaminava 1500 persone con problemi di peso a due riprese, nel 1995 e nel 2005, ha verificato come chi si sentisse discriminato avesse subito, nei dieci anni trascorsi, peggioramenti di salute più incisivi rispetto agli altri. Soprattutto il fatto che gli obesi siano visti come colpevoli e non come malati contribuisce a peggiorare la loro situazione: vi è una vera e propria barriera culturale nel riconoscimento dell’obesità come condizione medica che legittima ineguaglianze e sofferenze.
Sara Servadei