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Obiezione di coscienza e aborto: Italia che disastro

Il 22 maggio del 1978 venne approvata la legge 194 nota ai giuristi come “Norma per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Successivamente, sempre in maggio, del 1981 ci fu un ulteriore referendum, richiesto sia dai Radicali (sostenitori di una modifica con applicazioni più ampie) e il Movimento per la vita, di matrice filo-cattolica (intento a chiederne un’abolizione totale). Oggi, il testo è noto ai più semplicemente come “la 194”, per intendere in maniera sintetica e diretta “la legge sull’aborto”. L’Italia fu l’ultimo dei paesi europei a legalizzare l’IVG (interruzione volontaria della gravidanza) e il percorso non fu certo dei più facili. Un numero considerevole di donne si rivolgeva “a chiunque” per praticare un aborto (pratica illegale prima del 1978), e oltre il danno c’era pure la beffa: il rischio per la propria incolumità sommato alla concreta possibilità di finire in galera. Uno dei problemi, che si è andato a sommare al già tortuoso cammino di questo testo normativo, è stato il controverso comma 9: “ Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.

L’obiezione di coscienza altro non è che, un rifiuto di sottostare a una normativa giuridica quando questa è in palese contrasto con i propri precetti morali e il proprio credo religioso, un norma in contrasto con una legge fondamentale della vita umana e pertanto inapplicabile per la coscienza del soggetto interessato. Una condizione che, per esempio, spesso è associata all’utilizzo delle armi. Il pacifista è rivolto verso il servizio civile piuttosto che armato. In Italia esiste un primato, bacchettato severamente dall’Europa: non solo il 70% del personale medico e non si dichiara obiettore di coscienza (con picchi dell’80-90% al SUD) ma ci sono tre nosocomi nelle Marche dove il personale obiettore raggiunge la totalità, esattamente il 100%. A detenere questo personale record sono le città di: Jesi, Fano e Fermo.

Naturalmente, sempre il comma 9 parla di revoca dell’obiezione di coscienza in caso di accertato pericolo di vita della donna. Ci sono, poi, casi emblematici che attestano come una norma del nostro ordinamento giuridico, così delicata, sia osteggiata come nel caso in cui ci si dovesse rifiutare di emettere uno scontrino fiscale in una bottega, per farla in barba allo Stato. Un fatto riportato dalle cronache: una dottoressa condannata a un anno di reclusione, in via definitiva dalla Corte di Cassazione di Trieste, per essersi rifiutata di visitare una paziente, venuta per un controllo post-intervento abortivo. In tal senso, sempre il comma 9 recita: “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.” Continua a far discutere il caso del 2010 di Valentina, una giovane costretta ad abortire da sola, con il marito che tentava un’assistenza faidate, in un bagno del reparto di ginecologia del “Sandro Pertini” di Roma. In questo caso c’è stata una denuncia e un processo in corso di cui si attendono gli sviluppi.

Dichiarazioni shock quelle della donna riportate dal quotidiano La Stampa: “Nessuno ci ha assistito nemmeno dopo aver chiesto aiuto più volte. Anzi a un certo punto sono entrati gli obiettori con il Vangelo in mano a dirci che commettevamo un crimine.” Nel 2014, Il peso della religione, in uno Stato che si dichiara laico, è così forte da poter interferire sulla volontà del cittadino? Così tanto da portarlo a non rispettare una legge di diritto? Così come avveniva nel Medioevo, quando il diritto naturale era l’unica legge? In Italia, i numeri parlano chiaro, c’è il rischio concreto di ripiombare proprio in quei secoli bui.

Girolamo Ferlito