Oxford Murders – Teorema di un delitto
Martin, giovane studente americano, si reca ad Oxford per chiedere la tesi di dottorato al noto professore di logica e matematica, Arthur Seldom. Ad Oxford, va ad abitare presso un’anziana signora, amica dello stesso Seldom. Due giorni dopo il suo arrivo, la signora viene trovata uccisa nel soggiorno di casa sua. A scoprire il cadavere sono proprio Martin ed il professor Seldom, il quale, durante la sua conferenza in mattinata, era stato avvertito dell’omicidio da un biglietto. Oltre all’indirizzo della vittima, il biglietto conteneva anche il disegno di un cerchio. È questo il primo di una serie di omicidi che presentano segni logici lasciati come tracce. A Martin ed al professor Seldom il compito di indovinare la sequenza logica per prevenire i prossimi omicidi e scoprire l’identità dell’assassino.
Il regista spagnolo Alex De La Iglesia prende spunto dal suo background di laureato in filosofia e ci porta in un mondo sconosciuto ai più: i numeri e le sequenze logiche. De La Iglesia costruisce tutto l’intreccio proprio attorno ad una sequenza logica, disponendo tutto intorno i fatti e muovendo i personaggi come pedine. Il risultato è un giallo dotto, con poca azione di gambe e molta azione di cervello. È quasi una partita a scacchi, dove ad ogni mossa dell’assassino corrispondono possibili contromosse dei personaggi. John Hurt, nei panni del professor Seldom, ed Elijah Wood, nei panni di Martin, conferiscono certamente credibilità alla storia, che altrimenti sarebbe potuta essere fredda o poco coinvolgente. Invece, l’intreccio ed i personaggi si completano a vicenda e ciò crea un meccanismo che spinge gli spettatori ad interrogarsi, a fare ipotesi, supposizioni. E ciò che differenziano un buon giallo da un “giallino”.
Diego Bonomo