Rita Atria: “La siciliana ribelle”
Non accettare, ribellarsi, denunciare. Parole che in niente fanno rima con “omertà”, il silenzio distruttivo di chi non apre bocca per “paura di…”. Lei, Rita Atria, “fimmina lingua longa e amica de’ sbirri”– come la definì qualcuno – non ha avuto paura di dire “no”. No ad un mondo fatto di false “giustizie”, di brutture, di un vergognoso “onore”, di corruzione, di vendette; un mondo che ha una sola “legge”: il silenzio. In una sola parola: la mafia. Non può far finta di nulla: sceglie di ribellarsi, di dire “basta”. A caro prezzo. Un film di Marco Amenta – “La siciliana ribelle”- recentemente presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, ne racconta la storia, riaccendendone il ricordo. Quando, nel novembre1991, Rita decide di svelare ai giudici i segreti oscuri del sistema-mafia in cui è immersa, ha solo sedici anni. Oltrepassa i “limiti” dell’universo in cui – suo malgrado – vive e sceglie di denunciare gli assassini del padre e del fratello, entrambi mafiosi di Partanna. Protetta per un breve periodo dal giudice Paolo Borsellino, che nel frattempo aveva raccolto le sue deposizioni, poi rinnegata e minacciata dai concittadini e persino dalla famiglia, la giovane ribelle finisce presto per rifugiarsi da clandestina a Roma dove, a solo una settimana dalla strage di Via D’Amelio, porrà drammaticamente fine alla sua breve vita suicidandosi. Ma Rita è “solo” uno dei tanti eroi che la Storia ha voluto regalare al mondo. Nella sua vicenda, nella sua forza e nel suo coraggio di credere in un ideale di giustizia vero, nella sua capacità di rinunciare a tutto, alla propria vita, alla propria libertà, persino agli affetti della madre ( che dopo averla rinnegata finì addirittura per distruggerne la lapide ) e alla propria identità si riflettono e rivivono le storie di tutti coloro che, come lei, hanno svelato quel mondo del “non detto”: quel mondo in cui tutti sospettano, qualcuno sa, ma nessuno parla.
Ma Rita è lontana da quel mondo e denuncia, per inseguire un sogno: la giustizia. Quella di Rita, è anche la storia di grandi uomini come un Falcone o un Borsellino e di gente semplice come Peppino Impastato, di intellettuali come Giuseppe Fava, di militanti politici come Pio La Torre, di uomini in divisa come Carlo Alberto Dalla Chiesa… Ma è anche la storia di migliaia di vittime “anonime”, di tutti quei “testimoni di giustizia” (figura ufficialmente riconosciuta con la legge del 13/02/2001 n. 45) troppo spesso passati inosservati e presto dimenticati. Ricordarsi di loro è solo un modo per riaccendere gli ideali e capire che tutto ciò che non va può essere cambiato. Credendoci. E se è vero che i giovani sono le pietre con le quali costruire il mondo del futuro, è bello pensare che questo cambiamento possa avvenire proprio grazie a tutti noi…ogni volta che poniamo la morale al di sopra delle regole sociali, ogni volta che scegliamo di non piegarci all’ignavia e alla mediocrità, ogni volta che condanniamo la violenza e le tacite leggi della consuetudine. Perché: “prima di combattere la mafia, devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici; perché la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci…”. (dal Diario di Rita Atria ).
Francesca Licitra