Schindler’s list
Schindler’s list occupa un posto d’onore fra i numerosi film dedicati alla Shoah che, anno dopo anno, ci regalano storie sconvolgenti ed eccezionali; grazie alla filmografia sulla memoria è possibile preservare il diritto di non dimenticare e soprattutto di conoscere. Spielberg racconta con estrema acutezza la storia di Oskar Schindler, un industriale tedesco realmente esistito che salvò più di mille ebrei assumendoli come operai nella propria fabbrica. L’imprenditore, piacente uomo di mezz’età che non disdegna festini e scappatelle, apre una fabbrica di pentole smaltate a Cracovia e assume lavoratori di nazionalità ebrea, meno costosi rispetto ai polacchi; egli, come tanti suoi connazionali, è un membro del Reich, assolutamente consapevole di quanto avvenga nel ghetto e nei campi di concentramento; e, proprio come la maggior parte dei suoi connazionali, vive con indifferenza, quasi in una condizione di abulìa, le drammatiche vicende di discriminazione razziale cui assiste. Ma qualcosa in lui cambia: all’uomo di affari si sostituisce l’uomo pensante; Schindler inizia così ad aiutare gli ebrei servendosi delle proprie conoscenze, del proprio denaro e della propria scaltrezza e agendo giorno dopo giorno sempre più apertamente. A ben guardare, egli intraprende un cammino di redenzione e di riscatto morale – cui fa da contrappeso la vicenda di Amon Goth , il quale compie un cammino di redenzione al rovescio, da macchietta blasfema – che arricchisce la trama del film intersecando, senza mai sovrapporvisi, il racconto della Shoah.
La maestria registica di Spielberg si manifesta nell’attenzione ai particolari, nei primissimi piani che scrutano l’animo dei personaggi, nella scelta del bianco e nero con l’inserimento del colore solo in alcune scene cardine del film, ricchissime di pathos, nel montaggio alternato che mostra, in maniera contrappuntistica, scene di vita tedesca ed ebrea; il linguaggio filmico suggerisce simbolicamente l’idea del contrasto come contraddizione e assurdità, esplicitata attraverso la denuncia sociale: i tedeschi sapevano, ma preferivano far finta di ignorare. Le SS erano pronte a mettere da parte l’ideologia abbagliati da un mucchietto di diamanti. Un industriale rende grazie alla guerra perché grazie ad essa potrà arricchirsi.
Nonostante l’estrema bellezza e comunicatività, il film impegnato di Spielberg risente però di alcune piccole “tare” che fuorviano talvolta l’attenzione dello spettatore dalla realtà storica: sono presenti alcune brevissime incursioni tragicomiche (senza nulla togliere a capolavori assoluti del filone tragicomico sull’olocausto quali “La vita è bella” o “Train de vie”) che hanno forse lo scopo catartico di alleggerire quell’angoscia che dovrebbe invece essere vissuta fino in fondo; inoltre, la scelta di caratterizzare la fisicità dei tedeschi e degli ebrei avvalendosi di attori dall’aspetto tipicamente “ariano” per i primi e tipicamente “ebraico” per i secondi, e il ricorso alla follia pura come input di alcuni comportamenti atroci (si pensi al generale Goth che si improvvisa cecchino o al soldato che, con sguardo allucinato, spara ai cadaveri nelle fosse comuni), rivelano una visione forse un po’ semplicistica e stereotipata dell’incubo nazista. Ciononostante, “Schindler’s list” si connota come uno dei film più belli e toccanti degli anni ’90 e non a caso viene proiettato ogni anno in occasione della giornata della memoria.
Ornella Balsamo