Seta
Tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, il film racconta una storia incentrata sui sentimenti e sugli effetti, spesso inaspettati, che essi producono nell’animo umano. “Seta”, con la regia di François Girard, è ambientato nella seconda metà dell’800 e racconta la storia di Hervé (Michael Pitt), un giovane di famiglia benestante innamorato della bella Hèléne (Keira Knightley). Hervé accetta l’interessante proposta dell’imprenditore Baldabiou (Alfred Molina) che lo coinvolge nel suo grande progetto: riaprire le fabbriche di seta, chiuse da tempo, e restituire lustro alla città. Il giovane si reca così in Egitto per prelevare bachi da seta, tuttavia, la missione fallisce perché essi risultano infetti: una malattia sta contagiando tutte le uova. Baldabiou propone così a Hervé di recarsi più lontano, fino in Giappone, una terra bella e pericolosa: l’esportazione dei bachi, infatti, è vietata in questo Paese. Hervé decide di partire, supportato da Hèléne che nel frattempo è divenuta sua moglie. Per giungere alla meta designata, il giovane affronta mille difficoltà e attraversa mari e monti: dalle gelide terre della Siberia alle sconfinate steppe dell’Ucraina. Lo spettatore non può non rimanere affascinato di fronte a paesaggi mozzafiato che riescono a distogliere l’attenzione dall’intreccio narrativo, trascinando l’osservatore in un “mondo-cartolina”, in cui i sensi prendono inevitabilmente il sopravvento. Giunto a destinazione, Hervé incontra il suo fornitore ed ottiene i preziosi bachi, nel frattempo, però, il giovane si innamora a prima vista e perdutamente di una bella e misteriosa ragazza giapponese (Koji Yakusho). Il pensiero di questa donna accompagna Hervè costantemente, anche dopo il suo ritorno a casa, dove lo attende Hèléne. L’amore platonico verso quella “straniera”lo allontana dalla moglie che percepisce il malessere del marito. A questo punto della storia la trama assume un andamento “lento”, in quanto viene lasciato ampio spazio all’analisi dei sentimenti. Spinto dal desiderio di rivedere quella fanciulla, Hervé ritorna in Giappone, nonostante le continue guerre intestine, ma il suo viaggio avrà un esito inaspettato e triste. L’ossessione per l’astratto distrugge la realtà concreta e ciò crea disequilibri emotivi e mina la felicità di Hervé ed Hèléne, mentre lo spettatore assiste inerme alla fragilità dell’animo umano. Il finale inatteso fornisce, tuttavia, una nuova chiave di lettura: il presente, in quanto tale, non è eterno ed è inutile sprecarlo desiderando un’illusione.
Francesca Squillaci