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Il silenzio dell’uomo

Nel 1940, i tedeschi aprivano Auschwitz.
Delle semplici caserme polacche venivano convertite in una mostruosa fabbrica della morte con impianti camere a gas e crematori, mediante le tecniche più aggiornate. La Storia dell’uomo veniva segnata dalla vergogna e dall’indignazione. Nel 1941 Himmler faceva di Auschwitz un campo di sterminio e concentramento centrale del Terzo Reich, al quale veniva poi aggiunta (qualche tempo dopo) l’istituzione di altri due campi a Birkenau e a Monowitz. Per la sola costruzione dei campi morirono migliaia di detenuti, nel 1942 cominciarono a Birkenau le selezioni per le camere a gas; poco dopo si progettarono nuovi e più ampli impianti di uccisione. Aveva inizio l’assassinio di massa.
In tutto quel dolore (di cui le descrizioni e le prove sono note), in tutte quelle atrocità disumane, molti, ripercorrendo quel calvario di ricordi, si soffermarono sull’intima incertezza che accompagnò l’ebreo dopo quel nefasto momento. Come un pensiero ossessivo e doloroso, come un ago incandescente sulla pelle nuda, il dubbio sul Silenzio di Dio è esploso. Si è detto continuamente: “Dov’era Dio quando venivano attivati i campi di sterminio nazista?” Domanda lecita, legittima, anche per il più fervido dei credenti, anche per colui che quello stridore di denti non lo ha sentito così vicino. Rabbia, disperazione, impotenza accompagnavano allora (e persino oggi) quel martellante e lacerante interrogativo, in un momento in cui il sangue di migliaia di innocenti macchiava le pagine del libro della Storia dell’uomo.

Una piccola finestra si è cercata attraverso la quale riuscire a vedere i limiti della prigione sui quali quel dubbio si è per decenni scaraventato, al fine di trovare uno spiraglio da cui poter intravedere un tratto di Cielo. C’è chi quella finestra l’ha intravista e ne ha indicato la presenza.

Il silenzio di Dio è stato descritto da Jonas nel suo saggio intitolato Il concetto di Dio dopo Auschwitz ;in esso i tristi e incancellabili “muri del pianto” non sono intesi come conseguenze di un atto di abbandono (il più inconsolabile nella miseria della natura umana) ma come frangente di un’ eterna condizione all’insegna di un libero arbitrio. Da una parte c’erano gli ebrei, è vero, ma dall’altra c’erano altri uomini: i loro carnefici.

Il frusto quesito sul Silenzio di Auschwuitz trova una via d’uscita, quindi, nel momento in cui il bene e il male sono interpretati come due sentieri che l’uomo può liberamente decidere di intraprendere. In questa visione delle cose i lager dei nazisti, Auschwitz e tutti gli abietti ordigni programmati per una delle più riprovevoli delle ingiustizie umane, non sono da attribuire a Dio ma a quell’individuo, con occhi, braccia, mani, che ogni giorno può liberamente decidere della vita dei suoi simili. Dio, semmai, (su questo sembra far riflettere Jonas), è colpevole di aver dato all’uomo questa libertà assoluta e, forse, di non poter più intervenire quando, all’interno di una tragica realtà, il dato essenziale sembra essersi dissolto: l’Uomo.
La domanda: “dov’era l’Uomo?” sostituisce allora l’altra inoltrata per tanto tempo, e si sostituisce persino ad altre domande di natura teologica.
Non è, del resto, alzando gli occhi in cielo che si può tentare di capire dove si trovi l’Inferno.

Sabina Corsaro