STM saluta e se ne va
L’attesa è finita, le speranze pure. STM icroelectronics non presenterà alcun piano d’investimenti per il sito di Catania. Tra qualche anno, il più grande polo industriale del Mezzogiorno cadrà in dismissione. Da mesi, si attende un piano alternativo al completamento del modulo M6, ma in luogo di questi segnali, giungono notizie di segno opposto: l’accordo con Enel e Sharp, per la produzione di pannelli solari, è ancora fermo e, qualora fosse posto in atto, non basterebbe ad assorbire gli esuberi programmati. Men che meno, potrebbe offrire prospettive di espansione ad un sito industriale che è vittima di scelte aziendali e dell’insipienza delle istituzioni, più di quanto non lo sia della crisi economica internazionale. Le aziende dell’indotto sono al collasso, con annunci di delocalizzazione e tagli di personale, come avviene alla SAT. STM offre ferie volontarie e turni di lavoro a “settimana corta”, motivando le misure con la crisi verticale del mercato dell’informatica. È in atto il tentativo di presentare questo disastro come il naturale epilogo dei problemi di sovrapproduzione, registrati nel settore dell’elettronica e dei semiconduttori; nulla di più falso, in realtà. I problemi del sito catanese sono iniziati nel 2002. Le modifiche delle condizioni d’accesso al credito d’imposta, apportate dal Ministro Tremonti, spinsero la Multinazionale a non farne più uso. Fu allora che sorsero le prime difficoltà di mercato, proprio in quel settore che avrebbe dovuto essere terra di conquista di M6: le memorie di computer.
Nel 2005 Pasquale Pistorio lascia la guida di STM, ed è l’inizio della fine per il sito catanese, con un netto mutamento degli equilibri interni, a favore del management francese. Investimenti e sezioni di attività manifatturiera vengono trasferiti, quasi immediatamente, verso il Nord Europa e nel resto del mondo. Comincia a pesare il dualismo, alimentato dalla dirigenza di STM, tra i due maggiori siti italiani della compagnia: Agrate Brianza e Catania. Il primo sarebbe legato alla ricerca, l’altro “manifatturiero”. Una definizione singolare, per un sito che impiega 1500 operai su 4500 dipendenti. Lo scorso luglio, la doccia fredda: la Numonyx – Italia annuncia che i suoi introiti non sono tali da garantire il completamento di M6. A Catania non sarà mai avviata la produzione di fette di silicio da dodici pollici, quelle di ultima generazione. Rimane in piedi un’incompiuta da 450 milioni di euro, un impianto avanzatissimo, realizzato in parte con capitali pubblici. I risultati? Niente alternativa occupazionale per i mille lavoratori del CT6, ancora impiegati nella produzione di fette di silicio da sei pollici, destinata alla delocalizzazione in Asia. Ne consegue, soprattutto, lo spostamento definitivo dell’asse strategico della produzione e della ricerca fuori dall’isola. STM preferirà avviare la nuova produzione ad Agrate, dove il costo della messa in opera è di 300 milioni, contro i 2 miliardi di euro necessari al completamento di M6. Solo ora, Raffaele Lombardo e il presidente della Provincia Castiglione si accorgeranno di un’azienda che non produce clientele.
Enrico Sciuto